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Urbani Tartufi, 170 anni di storia ma è solo l'inizio

Cappelletti porcini e tartufi, una delle ricette marchiate Urbani 
Cappelletti porcini e tartufi, una delle ricette marchiate Urbani  
L'impresa di famiglia ora annuncia "Stiamo creando tartufaie in tutta Italia". In un libro di Slow Food Editore, il racconto di un'epopea nata nel 1852 col baratto
3 minuti di lettura

Olga Urbani racconta che c'è voluto un anno per mettere insieme tutta la storia della sua famiglia che, in tempi lontani, quando ancora non si sapeva bene a cosa sarebbe servito, andava con i cani a raccogliere questo frutto nei boschi. "All'inizio lo scambiavamo, era un baratto con altri contadini del posto. Oggi per tutti è un prodotto di lusso, ma per noi il tartufo è passione e coraggio". Il primo ad andarlo a cercare nei boschi è stato Costantino Urbani nel 1852. Oggi, sei generazioni dopo, Francesco Loreti Urbani fa molto di più, è riuscito a portare a compimento il lavoro del bisnonno. Perché lui il tartufo lo coltiva direttamente. Per ora quello nero, ma sta sperimentando anche con quello bianco.

 

L'aveva annunciato quando aveva 19 anni a mamma Olga e allo zio Bruno. "Per andare avanti non possiamo più comprare da altri, ma dobbiamo coltivare da soli i nostri tartufi", aveva detto. Dieci anni dopo, dal giardino di casa a Scheggino è nato il vivaio dove gli Urbani producono piante micorrizate con le spore di tartufi neri di pregio, che si possono acquistare e impiantare nei giusti terreni per creare tartufaie. Per far sì che il tartufo resti un prodotto d'eccellenza italiano.

 

"Il progetto prosegue: riconvertiamo terreni abbandonati per dare la possibilità al tartufo di continuare a vivere. Creiamo boschi in sostanza e poi aspettiamo che crescano i tartufi. Non solo in Umbria ma anche in altre regioni: Abruzzo, Marche, Piemonte, Calabria e Sicilia. Da quando avevo 11 anni ho piantato 2500 alberelli, 100mila solo in Umbria. Quando ho iniziato a seguire le tracce di mio nonno, nei mercati, mi sono reso conto che la produzione stava calando drasticamente, ai suoi tempi al martedi, al mercato di Norcia c'erano in media 400 kg di tartufi neri, quando ho iniziato ad andarci io, se tutto andava bene, ce n'erano 40. Eppure la richiesta continuava a crescere, non servivano solo più ai grandi ristoranti, ma anche all'industria, così ho cominciato a raccogliere i semi nei boschi. Abbiamo fatto tanti errori, poi abbiamo cominciato ad ascoltare cavatori e agricoltori, e unendo le due cose abbiamo capito che se tutto andava bene, i risultati sarebbero arrivati dopo 5-6 anni. Così sono andato nel giardino di casa di mia mamma e ho messo in terra 2500 piantine di roverella, leccio, cerro, tiglio, nocciolo che dal quarto anno hanno favorito la nascita dei tartufi".


Anche i due Paolo Urbani, senior e junior (nonno e nipote), in diversi momenti storici, avevano provato a incentivare la tartuficoltura, con studi incessanti, convegni, viaggi di esplorazione in Francia e non soltanto, ma purtroppo non avevano raggiunto grandi risultati.
Ma da queste basi è nata Truffleland, così l'ha raccontata Francesco Loreti Urbani con emozione alla presentazione del libro, dedicato alla famiglia e pubblicato da Slow Food Editore, "Le stagioni del Tartufo". 


Come ricordato da Carlo Petrini di fronte ad amici e ospiti venuti a celebrare l'uscita del libro da Eataly Smeraldo a Milano, per festeggiare i 170 anni "serve anche la capacità di preservare e rafforzare la produzione di questo pregiato prodotto perché non ce n'è più. I suoli agricoli sono stati enormemente compromessi dalla cementificazione, dall'uso spregiudicato di prodotti chimici che danneggiano la terra. E in questo contesto il tartufo non cresce. Così se vogliamo mantenere l'eccellenza del territorio dobbiamo incentivare la ricerca, lottare contro la depauperazione. Occorre creare aree ecologiche in cui tutelare e salvaguardare le zone di produzione". La famiglia Urbani da quasi due secoli fa la sua parte e ha raccontato tutto in questo volume - con la prefazione oltre che di Carlo Petrini anche di Oscar Farinetti - che raccoglie anche le testimonianze di chef stellati da tutto il mondo. Come Masayoshi “Masa” Takayama, chef e ristoratore giapponese proprietario di Masa, un tre stelle Michelin a Manahattan. O come Tom Aikens, uno dei più grandi cuochi inglesi della sua generazione che ha ottenuto la sua prima stella Michelin a soli 26 anni.  Per lui tartufo significa "Truffle tart", uno dei piatti più buoni che abbia mai mangiato. Nel libro non mancano ricette per assaporare il tartufo nero e bianco nel loro massimo splendore. 


Ricordando però sempre che, come dice Farinetti, "bastano due uova semplicemente cotte al padellino con il burro giusto e ricoperte da una generosa dose di tartufo a fettine. Non succederà prima di novembre perché ho imparato ad aspettare il tempo giusto del tartufo. Vorrò conoscerne la provenienza e, se è possibile, il nome e la storia del cavatore; il nome del suo cane vorrò sapere. Aggiungo che l’agognato evento non godrà di molte repliche prima del termine della stagione. Mi è rimasta addosso una sorta di deferenza per il tartufo bianco. Quella che provavo quando avevo pochi soldi e li mettevo da parte per potermelo permettere una volta l’anno. Penso che le vere leccornie vadano centellinate, quando perdono il carattere della rarità svanisce l’allure".