“Lo champagne non è solo un vino, ma è un mito, la gente lo compra anche per l’aura che lo avvolge e questo spiega perché il suo successo non tramonta e le richieste continuano ad aumentare in tutto il mondo”.
A parlare è il barone Philippe Sereys Rothschild, presidente della Baron Philippe de Rothschild, che nei giorni scorsi ha presentato al Bar Cavour del Cambio di Torino la nuova partnership con il gruppo Domori di Riccardo Illy per la distribuzione in Italia dei prodotti della “giovane” Maison. “I tre rami della mia famiglia - prosegue Sereys - da secoli producono tra i più importanti vini rossi del mondo, 18 anni fa abbiamo pensato di produrre anche champagne, e non potevamo che pensare a champagne che avessero la stessa qualità dei nostri rossi. Per farlo abbiano deciso di puntare sullo Chardonnay che è diventato il segno distintivo della nostra Maison e rappresenta oltre il 70 per cento del totale delle nostre uve e in tutti gli assemblaggi che realizziamo non è mai inferiore al 50-60 per cento”. Il resto è Pinot Noir e solo in minima parte Pinot Meunier.
La famiglia ha acquistato per questo 85 ettari di vigneti nei terroir della Côte des Blancs e della Montaigne de Reims. “Lavoriamo a stretto contatto con i viticultori per garantire la qualità e la tracciabilità dei nostri vini nel rispetto dell’ambiente”. Altre carte in mano alla Maison il fatto che oltre il 40 per cento degli champagne non millesimati prodotti viene da “vini di riserva”, una rarità nello champagne, e la riserva perpetua da cui si attinge fu creata a partire dalla vendemmia del 2005. Inoltre il dosaggio, tra lo 0 e i 6 grammi per litro, è tra i più bassi e consente di far emergere pienamente le caratteristiche del “terroir”. ”Ma un altro elemento su cui abbiamo deciso di puntare è il tempo. Abbiamo alle spalle una storia di secoli e anche il nostro champagne può permettersi un periodo di affinamento in bottiglia particolarmente lungo da circa 4 anni per i brut a oltre 10 anni per i millesimati”. Dopo la sboccatura riposa per almeno altri 6 mesi e talora oltre un anno per raggiungere il suo equilibrio.
Philippe Seyres è a capo dell’azienda che riunisce per la produzione dello champagne le aziende targate Rothschild dei tre rami della famiglia: la Château Mouton Rothschild, di cui Philippe era già alla guida, la Château Clarke- Groupe Edmond de Rotschild del barone Benjamin e di sua moglie Ariane, e la Château Lafite Rothschild del barone Eric e di sua figlia Saskia. “Quando mi hanno proposto di guidare l’impresa – ricorda – ho accettato a patto che fossero rispettate due condizioni: la prima è che le decisioni fossero prese sempre con il comune accordo di tutti e tre i rami della nostra famiglia e che in tutte le sedi del mondo dalla Gran Bretagna all’Estremo Oriente dove i Rothschild sono presenti con le loro attività, dalle banche agli altri settori, si bevesse solo il nostro champagne. Di questa ogni tanto mi pento perché le richieste sono aumentate di molto".
Due anche le ragioni che hanno spinto Rothschild al matrimonio con Riccardo Illy, di cui è stato pronubo Lamberto Vallarino Gancia, vice presidente di Domori. "Da un lato –spiega Seyres– anche il gruppo di Illy è un’azienda a carattere famigliare e le imprese di questo tipo hanno una visione di lungo periodo come quella che abbiano noi. Inoltre le aziende famigliari danno un senso al valore del lavoro ed è quello che per me conta e ci rende simili”.
Perché puntare sul mercato italiano? “Perché in Italia si beve bene e si apprezza la qualità di ciò che si beve. Producete grandi vini e siete disposti a spendere per bere bene”. Il barone preferisce non dare cifre, ma l’obiettivo della partnership, dicono in casa Domori e di arrivare in cinque anni alle 100 mila bottiglie, complessivamente fra le tre gamme della Maison: Invitation, con i suoi Brut, la Signature con i Blanc de Blanc e Rosè, e la Collection con le Cuvées Rare Collection Blanc de Blanc 2012 e Rare Collection Rosé 2012. Le probabilità di centrare l’obiettivo sono anche legate alla capacità di conquistare nuove fasce di mercato soprattutto giovanili: “Io sono ottimista - conclude Philippe Sereys - perché vedo sempre più giovani che vogliono bere bene e sanno riconoscere la qualità. Inoltre se prima lo champagne era visto come un vino per la festa o solo per un brindisi oggi anche i giovani comprendono che può essere un vino che vale la pena di bere per accompagnare un intero pasto o molti momenti della propria vita. E la qualità dei nostri champagne permette di farlo”.