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Taro, il tubero cinese brutto ma buono: ecco come si cucina

2 minuti di lettura

A prima vista non si presenta benissimo: esternamente ricorda una noce di cocco con la pelle tutta raggrinzita e pelosa. Guardando l'interno, invece, l'aspetto è più simile ad una patata bianca anche se è un po' puntinata di viola. Stessa compattezza del tubero che conosciamo meglio e che utilizziamo regolarmente nelle nostre cucine. Il taro è entrato per un attimo nelle case italiane come uno degli ingredienti che gli chef internazionali hanno portato ai concorrenti di Masterchef nella prova in esterna a Milano.

 

È un tubero a tutti gli effetti, che  - come ha spiegato la chef de Il Gusto Dim Sum di Firenze, Xin Ge Liu - può essere utilizzato sia per piatti dolci che salati. Lei nel suo ristorante specializzato in cucina cinese moderna lo utilizza ad esempio per preparare degli gnocchi, i Taro Lime, ripieni di rombo del Mediterraneo, tofu di pesce e gamberetti.

Hue, la concorrente nata in Thailandia e quindi più a suo agio con l'ingrediente, ha invece deciso di utilizzarlo per un antipasto, insieme a bottarga greca (l'avgotaraco, uova di muggine grigio selvaggio avvolte nella cera d'api, che Gualtiero Marchesi consigliava di mangiare tagliandolo semplicemente a fette in abbinamento al San Daniele) e mishavin, un formaggio presidio Slow Food che proviene dall'estremo nord dell’Albania. Come metodo di cottura, una semplice, ma lunga, bollitura in acqua.

In Cina il taro viene cucinato spesso e attraverso diverse preparazioni (non si può consumare crudo, proprio come le patate): può essere bollito, cotto a vapore, saltato in padella, oppure stufato. Può essere utilizzato in piatti salati, come ripieno dei ravioli, oppure per insaporire dolci e bevande (spesso viene usato per il bubble tea). Le palline di taro, mangiate con lo sciroppo sono un dolce tipico di Taiwan. In Giappone può essere proposto anche al posto del riso, oppure cotto nel brodo di pesce. Si chiama però satoimo e oltre ad essere utilizzato nelle zuppe di miso, può essere stufato nel brodo dashi per preparare il nimono (stufato, per l'appunto).

 

Anche se originaria del sud est asiatico, la pianta tropicale di cui si consuma il tubero è anche diffusa in altri paesi del Mediterraneo. In Grecia si chiama eddos o patata dei tropici e si consuma spesso in zuppa. Gli eddos o eddoes si mangiano anche in Costa Rica, Repubblica Dominicana e Colombia: dopo averli fatti bollire una decina minuti in acqua, si possono saltare a tocchetti in una padella col rosmarino per pochi minuti, fino a raggiungere la doratura.

 

Tante le ricette hawaiane che utilizzano anche le foglie del taro. I Lau Lau sono involtini avvolti nelle foglie del tao con all'interno pezzetti di pollo, maiale o pesce. Per ogni involtino si utilizzano sei o sette foglie. Famosissimo il Poi, una crema di taro, violacea. La preparazione è piuttosto lunga: prima si fa bollire il taro, poi si schiaccia a mano per ottenere il succo violaceo che viene lasciato a fermentare per un po' di tempo prima di consumarlo. Il Luau Squid invece è un piatto a base di calamari, foglie di taro, latte di cocco, sale, zucchero, cipolla e manzo essiccato. Unico avvertimento, e vale per tutte le preparazioni, per maneggiare i taro è meglio usare i guanti, perché la polpa cruda può essere molto irritante, soprattutto se le mani vengono a contatto con gli occhi.