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Milano, Filippo La Mantia chiude il ristorante: "È solo un'interruzione, troppe difficoltà col personale"

Filippo La Mantia 
Filippo La Mantia  
Lo chef milanese sospende il servizio al Mercato centrale meneghino a un anno dall'apertura: "La brigata completa era di 15 persone, ora siamo sette, non voglio arrivare a fine servizio con l'affanno. Ripenserò il format"
3 minuti di lettura

«Dal 1 marzo sospendo il servizio del ristorante: è solo un'interruzione, voglio rivoluzionare il modo di strutturare l'offerta di ristorazione, ho avuto tanta difficoltà col personale». Lo racconta affranto Filippo La Mantia, che un anno fa ha aperto il suo nuovo ristorante all'interno degli spazi ricavati nell'ala destra della Stazione Centrale di Milano. Lo chef precisa che non si tratta di una chiusura, ma per il momento non comunica una data possibile di riapertura del ristorante.

«Ho sempre pensato che nella semplicità stia il nuovo concetto di lusso. Il Mercato Centrale ha, dalla sua apertura, democratizzato la ristorazione all’interno dei loro spazi ed io ne ho percepito l’essenza - racconta La Mantia  - dandomi la forza di rimettermi in discussione». Ma non è sufficiente il successo. Non è sufficiente il carisma. Perché un ristorante vada avanti non si può prescindere dal personale.

«Nel ristorante ci ho messo tutto quello che ho imparato fino al 2020: una cucina di casa, all'insegna della convivialità, ma quello che è cambiato è la mia percezione del mondo del lavoro. Scegliere i miei “compagni di viaggio” è sempre stata una priorità; l'esperienza al Mercato è stata una palestra meravigliosa per capire e capirsi, mi ha mostrato uno spaccato di realtà a cui non ero abituato».

Il ristorante lavora, la domanda è tanta, è sempre pieno, e allora perché chiudere? «Sto pensando a una riorganizzazione e un riposizionamento del mio format insieme a Umberto Montano (l'imprenditore che ha aperto diversi Mercati Centrali nelle stazioni italiane, ndr) e l'obiettivo è quello di impiegare meno personale: ho quasi 63 anni, 30 passati nella ristorazione, 15 aperture alle spalle tra ristoranti dove ho fatto consulenza e di proprietà, ero a libro paga fino al 2014, imprenditore da quell'anno, conosco molto bene le dinamiche del mondo del lavoro e della ristorazione nello specifico» dichiara La Mantia.

Il personale può mettere in crisi un ristorante che lavora (e che è sempre pieno) tanto da farlo chiudere? «Sono cambiati i periodi e gli approcci, cambia la tipologia di prestazione che i giovani vogliono dedicare, basta che manchino 2 o 3 figure focali e il servizio non rispetta quello standard che io amo dare. Sarò severo ma giusto, me lo riconosco, e pago bene, anche dai primi livelli di esperienza. Ma siccome Milano offre diverse nuove aperture e anche molto appealing, quella fascia di personale che non supera i 30 anni si trova a cambiare molto spesso bandiera, a volte anche tornando al primo luogo di lavoro. Il preavviso minimo sono 20 giorni ma in questo lasso temporale non si riesce assolutamente a ricostruire una piccola brigata, dato che spesso i colleghi se ne vanno insieme. Parto a fare colloqui anche oltre 3 mesi in anticipo se so di dover realizzare una nuova apertura, ma 20 giorni sono davvero nulla in questo mondo».

I numeri per restare a galla? «La brigata completa all'apertura era di 15 persone, contando tra sala e cucina ma anche contabilità e accoglienza; oggi mi trovo ai minimi storici, 3 in sala e in cucina ho solo un pasticcere e due cuochi più me stesso. Chiudo perché non voglio arrivare a fine servizio con l'affanno. A pranzo facciamo il buffet da 30 a 100 coperti la domenica, mentre la sera, alla carta, non voglio mai superare 50 degli 80 coperti che ho a disposizione proprio per mantenere quella caratteristica del mio essere Oste, con la O maiuscola, che riceve le persone come veri ospiti, alla maniera siciliana, come fossero dei arrivati da lontano, una caratteristica della nostra cultura. Ecco perché per me la sala è fondamentale, io mi divido tra cucina e sala, consiglio, racconto, suggerisco, mi sento una sorta di carta vivente, e la gente apprezza, forse viene anche per me». 

«Ho trovato difficoltà anche con l'apertura al Mercato: avevo solo un mese e mi sono dovuto rivolgere ad agenzie per il personale di sala, ma per un ristorante dove l'accoglienza è tutto, il ricambio di così tante persone è molto negativo. Bisogna rispiegare continuamente dove si trovano le posate, la proposta, mentre il ristorante è preso d'assalto subito. Inoltre lo stacco di un anno e mezzo dovuto alla pandemia mi ha causato una grave perdita di persone fidate, con cui avevo instaurato un ottimo rapporto di stima da anni, ma per cui, giustamente, la cassa integrazione non era sufficiente».

«Ecco perché mi fermo. Ripenso a tutto. E non dimentichiamo mai che io sono da solo, non ho un fondo o grandi imprenditori dietro le mie spalle».

«Ah, e non chiamatela pausa, la pausa è ad agosto» sorride.