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Lo chef Visciola: "Ecco la mia cucina a scarto zero"

Marco Visciola
Marco Visciola 
Lo chef del ristorante "Il Marin", al porto antico di Genova porta in tavola le esperienze fatte da Alba alla Corea: "Il pesce povero è un punto di partenza che si porta tutto dietro"
2 minuti di lettura

I piatti hanno il tocco classico del grande chef: infatti nessuno crede che molti siano preparati (anche) con gli scarti. Nessuno crede che la cattura, i rifornimenti e il trattamento delle materie prime rispondano a criteri così complessi e rispettosi di ambiente, sostenibilità e persino amore della natura. Marco Visciola, 36 anni, però, ne ha fatto un dogma della sua cucina, della sua arte, della sua incessante ricerca. E il menu che firma è ostinatamente green, seppur con un’ossessiva caccia al gusto qualificato. Nel suo ristorante, Il Marin, ne ha fatto la sua cifra, ben protetto tra le mura di Eataly, a Genova.

Visciola, partire dal pesce povero è facile. Ma non scontato. Serve sincerità.

«È vero. Perché è un punto di partenza che si porta tutto dietro. La cucina di pesce che rispetta il mondo, senza derogare al gusto, punta soprattutto al pesce azzurro, al pesce ingiustamente detto “povero”, con sapori che insistono sulla forza di acciughe, sgombri, sugherelli. E tante, tante interiora. Fin dal primo passo, ossia dalla precisa scelta dedicata al pescato di giornata».

Pescato dove?

«A Camogli, dalla Cooperativa dei pescatori, una piccola realtà che fa del rapporto sostenibile con il mare una ragione di vita e che possiede l’unica tonnarella rimasta in Liguria e una delle poche in attività nel Mediterraneo. La loro cultura, i loro strumenti, le tecniche di pesca: tutto è votato a un rapporto di mutuo sostegno e non di sfruttamento unilaterale del mare. Io ho sposato la causa della pesca etica».

Il pesce "visto" da Visciola
Il pesce "visto" da Visciola 

Non è che va a detrimento della qualità?

«Guardi che l’attenzione per la qualità necessariamente si incontra con l’attenzione per la sostenibilità, ambientale ed economica, con la responsabilità e la condivisione. L’ho imparato nella mia esperienza, che ha radici liguri, una storia piemontese ad Alba e un lungo studio in Corea».

Come dimostra che la cucina green non è grigia?

«Perché con lo studio degli abbinamenti si possono in ogni caso massimizzare i sapori, combinando creatività, tecnica e ingredienti, scommettendo sulla ricerca di lavorazioni a scarto zero per proporre piatti sostenibili, come “La Finanziera dal mare”, realizzata con il recupero di tutte le interiora di pesci. Ma se la assaggiate… Poi ne parliamo».

Come si fa a creare un menù che al vostro prezioso caviale italiano affianca le interiora e gli scarti?

«Le grandi lavorazioni sono fondamentali. Ma io sono fermamente convinto da una necessaria nobilitazione del quinto quarto di carni e pesci. Delle nostre verdure, degli avanzi del giorno prima e dei piatti della tradizione. La nostra memoria costituisce il cardine fondativo di questo appuntamento virtuoso. Senza dimenticare la ricerca e la scienza, che ci portano per esempio alla frollatura del pesce e alla realizzazione di salumi di mare, esaltandone le proprietà nutrienti e organolettiche».

La rivisitazione del tradizionale cappon magro
La rivisitazione del tradizionale cappon magro 

Ha detto quinto quarto?

«Si intendono, del pesce come della carne, le parti meno nobili dell'animale: trippe, guance, lingue, uova, lattume, fegato. Una nuova frontiera».

Lo dice come se fosse una cosa del tutto normale.

«Lo dico con garbo e rispetto. Ingredienti fondamentali per la mia cucina e soprattutto per la cucina rispettosa».

Da chi lo ha imparato?

«Continuo ancora oggi a imparare. Ma l’amore per la cucina l’ho appreso da mio nonno, legatissimo alla tradizione ligure, ai sapori veri, al rispetto del mare, della costa e dell’entroterra. La Liguria ha un mare generoso ed è essa stessa un orto sospeso sul mare».

Eppure sul suo menu non c’è nulla di minimalista.

«Figuriamoci. La cucina è anche un laboratorio scientifico tra fermentazioni, accostamenti, esperimenti, lavorazioni delicate e dettagli. Ma se trattiamo male la grande cambusa cui ci riforniamo, trattiamo male anche gli ingredienti che prepariamo nei nostri piatti. Rispettare l’ecosistema significa rispettare il palato».

Resterà deluso chi cerca esperienze da masterchef...

«Per niente. Questo è il bello del mio mestiere. Creare una grande bellissima fusione».