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In Italia quando chiude un 3 stelle è come se chiudesse un museo

"L'Insalata" di Norbert Niederkofler
"L'Insalata" di Norbert Niederkofler 
Gli addii del St. Hubertus di Niederkofler e di La Mantia al Mercato Centrale di Milano rimettono al centro del dibattito la non-sostenibilità dell'alta ristorazione: la medicina è quella di individuare chi produce cultura gastronomica per farne un'icona italiana
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In un Paese come il nostro dove la gastronomia è cultura è patrimonio fondante quando chiude un grande ristorante è come se chiudesse un museo importante. L’addio momentaneo ma al tempo stesso definitivo del St. Hubertus di Niederkofler e la chiusura di La Mantia al Mercato Centrale di Milano (due contesti non paragonabili) hanno rimesso al centro del dibattito la non-sostenibilità dell'alta ristorazione.


A dire il vero il primo a mettere l'accento su questo problema è stato Massimo Bottura quando con forza ha più volte sottolineato come i cuochi sono produttori di cultura, di un caposaldo del Made in Italy e vanno aiutati a tenere accesa quella luce. La luce della cultura gastronomica italiana.

Lo chef tristellato Norbert Niederkofler
Lo chef tristellato Norbert Niederkofler 

Se quella luce si spegne, travolta dalla mancanza di personale, dalla mancanza di progettazione a lungo termine, dalla mania di seguire mode, dalla tradizione fine a se stessa, dagli incassi facili con i turisti da spennare l'Italia rischia di perdere un suo assett chiave. Ci sono città dove se non fosse per alcuni determinati alfieri della cultura gastronomica italiana molte delle pessime pratiche che ho appena indicato avrebbe stravinto, avrebbero raso al suolo la nostra cucina. Roma, Firenze, Venezia sono campi di battaglia dove l'Italia del Gusto sta perdendo. E la sconfitta non arriva sugli incassi ma proprio sul fronte culturale.


Si salva il Nord perché il giro d'affari generato dalla ristorazione consente la sopravvivenza di bolle gastronomiche oggi però messe a rischio dalla carenza di personale e da giovani sempre meno disposti a rinunciare a vivere pur di lavorare in quella o quell'altra cucina. Al Sud invece sono gli ingredienti a fare la differenza e anche la voglia di rivalsa di quel territorio sempre troppo poco al centro della narrazione gastronomica interna.

Lo chef Filippo La Mantia
Lo chef Filippo La Mantia 

Sarebbe ipocrita dire che la crisi dell'alta ristorazione non esiste ed è ancora più idiota saperlo ma mettere la testa sotto la sabbia di manifestazione sempre di più per pochi dove ci si raccontano reciprocamente commedie gastronomiche. Giornate da “mascherata della morte rossa” dove pare che il problema sia magicamente chiuso fuori da quelle mura. Come di ogni malattia prima bisogna prenderne atto, avere il coraggio di ammetterla per poi trovare la cura più efficace.

E la medicina giusta è quella di individuare chi produce cultura gastronomica per farne un'icona italiana, ma insieme a questo progetto – che non deve diventare aiuti di Stato -, serve ridiscutere la filiera e lavorare a un piano efficace della formazione e della valorizzazione delle risorse umane. Altrimenti dopo le fughe di cervelli assisteremo sempre di più anche a quella di coltelli, grembiuli, tastevin. 
Siamo ancora in tempo. Agiamo tutti insieme.