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Eva e Sant'Anna: scoppia la guerra dell'acqua

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Una fake news sul web per danneggiare la società concorrente: il colosso della Valle Stura nel Cuneese denunciato dalla rivale Eva della valle Po
3 minuti di lettura

Tra siccità e tribunali, il mondo che ruota intorno all'acqua non trova pace. In tempi di terre aride e piante secche, quando agricoltori e produttori sono in tensione per l’assenza di piogge, fra due grossi marchi nelle stanze della polizia giudiziaria e nelle aule di tribunale scoppia la guerra della Co2.  A fronteggiarsi sono l’«Acqua Eva» di Paesana nel Cuneese (235 milioni di bottiglie prodotte all’anno, 36 milioni di fatturato) e «Acqua Sant’Anna» di Vinadio, gigante europeo (sempre in provincia di Cuneo) del mercato delle minerali con oltre 1,5 miliardi di pezzi e un volume d’affari di 320 milioni. Nei guai è finito quest’ultimo. Come racconta la Stampa, imputati in un procedimento penale in Tribunale a Cuneo, con le accuse di «turbata libertà dell’industria o del commercio» e diffamazione, sono il presidente e amministratore delegato di Fonti di Vinadio, Alberto Bertone (56 anni), il suo direttore commerciale Luca Chieri (50) insieme a Davide Moscato (26), ex dipendente di «Mia Beverage», società controllata da Acqua Sant’Anna, e di cui Bertone è amministratore unico. L’accisa mossa dalla Procura della Repubblica di Cuneo (pm Carla Longo) è che i tre avrebbero utilizzato «mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio del commercio in danno della Fonti Alta Valle Po», pubblicando sul web un articolo dal contenuto diffamatorio. Tre anni di indagini, concluse nel 2021, per una vicenda che ha dell’incredibile.

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La storia ha inizio il 18 aprile 2018: sul sito www.mercatoalimentare.net (che si occupa di cibo, bevande e aspetti nutrizionali) appare un articolo, intitolato «Inchiesta: Acqua Eva è un brand di proprietà Lidl?». Nel pezzo viene «falsamente asserito - sostengono gli inquirenti - e artatamente indicato» che Fonti Alta Valle Po, titolare del marchio Acqua Eva, risulta di proprietà della catena di supermercati di origine tedesca Lidl, e che quindi «opera sul mercato, nella catena della grande distribuzione, in un regime di concorrenza sleale dovuta a conflitti di interesse». La notizia nel giro di poco tempo arriva a tutti i principali clienti dell’impresa di Paesana, che all’epoca viveva un momento d’oro di crescita. Si pensi che solo 2017, ha fatturato 25,3 milioni e prodotto 152 milioni di bottiglie. Di queste, 20.245.680 «pezzi» (valore 4.416.615 euro) sono di Acqua Eva venduta alla Coop. È proprio il responsabile di Coop Italia, con una mail, a inviare il link dell’articolo e chiedere spiegazioni al legale rappresentante di Fonti Alta Valle Po, Gualtiero Rivoira, che riceve lettere anche da altre catene di supermercati, scandalizzati di «favorire» la concorrente Lidl attraverso gli ordini di Acqua Eva.

Un fatto che non passa inosservato, anzi. E gli effetti si fanno sentire anche sul mercato: rapporti commerciali inizialmente danneggiati fino a diventare azzerati con le società dei grandi magazzini, che cancellano contratti milionari. L’impresa della sorgente più alta d’Europa, sul Monviso, è nei guai: le sue bottiglie iniziano sparire dagli scaffali. Va all’aria persino una trattativa, che era già in fase avanzata, con la «Red Circle Investments» che fa capo allo stilista e imprenditore Renzo Rosso, fondatore e azionista del marchio Diesel (neo socio dell’impresa vitivinicola delle Langhe di Sara Vezza), interessato a entrare nel mondo beverage in società con Acqua Eva per lanciarla a livello internazionale.

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Rivoira a quel punto bussa alla porta dell’avvocato Nicola Menardo dello studio Grande Stevens di Torino, che deposita querela alla Procura di Cuneo. Scattano quindi le indagini di polizia postale, carabinieri e finanza, per individuare chi c’è dietro quel sito. Sorpresa: risulta intestato a Fernanda Baratta, classe 1937, di Montegrosso d’Asti, che però è morta nel 2011. Da ulteriori approfondimenti, emerge che la signora aveva due nipoti: gli investigatori si concentrano su Davide Moscato, torinese di Moncalieri, che si è fatto un nome con alcuni blog. Grazie a un ordine europeo di indagine della Procura di Cuneo (una sorta di rogatoria internazionale), si scopre che nel 2018 ha pagato l’apertura del portale con una carta di credito di una banca del Lussemburgo, a lui intestata, e che percepiva reddito da Mia Beverage, controllata di Acqua Sant’Anna. Il 15 giugno dello stesso riceve una diffida dallo studio Grande Stevens e rimuove l’articolo, poi il sito scompare.

L’inchiesta non finisce lì, anzi, si allarga e, grazie alla testimonianza del giovane, nel registro degli indagati finiscono Alberto Bertone e Luca Chieri. Per la Procura hanno costretto Moscato, fornendogli direttamente le informazioni da utilizzare, a predisporre il pezzo diffamatorio. Lo scopo, tutto da dimostrare, secondo l’accusa sarebbe gettare discredito su Acqua Eva, impedire l’ingresso «pericoloso» della Red Circle Investments, abbatterne il mercato, portarla vicino al tracollo finanziario o comunque ridurne il valore, e infine acquisirla nel gruppo Fonti di Vinadio. In pratica, un «piano» calcolato, che troverebbe una conferma in quanto avvenuto nel 2020. A indagini in corso, con le Fonti Alta Valle Po in evidente difficoltà, Bertone avrebbe avanzato un’offerta di acquisto, rifiutata dal gruppo Rivoira. Ora la data da segnare è il 22 settembre, quando le parti si incontreranno in Tribunale a Cuneo, per l’apertura del dibattimento, di fronte al giudice Sandro Cavallo. Per la Turbata libertà dell’industria o del commercio, rischiano fino a due anni e una multa da 103 a 1.032 euro.

Per la diffamazione, le pene possono arrivare fino a 3 anni e 2.000 euro di multa. Bertone e Chieri sono assistiti dall’avvocato Michele Galasso di Torino, che non ha preferito non commentare i fatti. Il legale di Moscato è il torinese Federico Rosso che alla Stampa dichiara: «Il mio assistito, in un’ottica di collaborazione con le parti, ha chiesto e ottenuto dalla Procura di Cuneo la sospensione del procedimento a suo carico per messa alla prova (rinuncia al processo, in cambio Moscato svolgerà lavori socialmente utili, ndr). La definizione della richiesta sarà all’apertura del dibattimento, con eventuale estinzione del reato per messa alla prova».