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A Torino o a Venezia, dove è nato davvero il tramezzino?

A Torino o a Venezia, dove è nato davvero il tramezzino?
Le due città rivendicano la paternità della specialità. Ma la storia della gastronomia dice che... 
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Qualche giorno fa stavo chiacchierando con l’amico Alessandro Marzo Magno riguardo all’invenzione del tramezzino. Grande esperto di cibo e storia veneziana, mi raccontava della pretesa paternità di diversi bar della Serenissima, aggiungendo che, ovviamente, c’era anche da tenere in conto di Torino con il famoso Caffè Mulassano che se ne è intestata l’invenzione parecchio tempo fa. 


A pensarci bene, la risposta su quale delle due città possa fregiarsi del titolo di “madre del tramezzino” è piuttosto semplice: nessuna delle due. E il motivo di questa risposta è ancora più banale: il tramezzino non esiste. 

Non si tratta di una provocazione, ma di una semplice constatazione che ha a che fare con la linguistica, più che con la gastronomia. L’oggetto che chiamiamo “tramezzino” compare molto tempo prima della parola stessa e il suo nome è sandwich. Come molti sanno, l’invenzione si deve a John Montagu, IV conte di Sandwich (1718 -1792) che amava i pasti sbrigativi da consumare alla scrivania o al tavolo da gioco senza posate. La sua invenzione è tanto geniale quanto apparentemente banale e consiste di coprire con una seconda fetta di pane un crostino farcito, che era già conosciuto da secoli in cucina, trasformandolo in una pietanza portatile e facilmente maneggiabile.

Ne parlano già i contemporanei mentre il conte di Sandwich ricopriva ancora la carica di primo lord dell’Ammiragliato e la prima descrizione si deve allo scrittore francese Pierre Jean Grosley che la inserisce nella sua guida “A Tour to London” del 1772. Agli inizi dell’Ottocento troviamo invece le prime ricette inglesi dove le due fette di pane imburrato vengono farcite con manzo freddo, lingua salmistrata oppure con prosciutto. In quest’ultima versione sbarca anche in Italia e dove viene pubblicato da Francesco Chapusot nella sua “Cucina sana”, economica ed elegante del 1846. Francese di origine, Chapusot all’epoca era il cuoco di Ralph D’Abercromby ambasciatore d’Inghilterra nella Torino risorgimentale, il che spiega molte cose. Probabilmente è questa l’epoca in cui si iniziano a servire i sandwich nei caffè torinesi: nessuna invenzione, semplice importazione.

 

La nuova specialità inglese viene declinata fin da subito in diverse versioni e chiamata con molti nomi. Le cronache e i ricettari dell’epoca si riempiono di «panini gravidi» secondo una dizione toscana o di «panini imbottiti», come li chiamano i romani, o ancora «tartine di pane». Non mancano le storpiature del nome originale e si va dai «sanguicci» o «sanguevicci», fino al «sanduicci» usato da Alberto Cougnet.

 

Il nome «tramezzino» si imporrà solo qualche tempo dopo, grazie al programma di autarchia linguistica voluto dal regime fascista. A partire dagli anni ‘20 del secolo scorso nacque un largo fronte che si batteva contro i forestierismi nella lingua italiana e fu supportato da alcune leggi, la prima nel 1923 e una seconda nel 1937, che prevedevano sanzioni per le parole straniere usate nelle insegne o per le denominazioni commerciali. Tra i tanti sostituti italiani ai termini stranieri nacque anche «tramezzino». La leggenda lo vuole coniato nientemeno che da Gabriele D’Annunzio, ma su questo ci sono alcuni dubbi perché il primo dizionario che registra il nome nel 1935 indica l’inventore del nome con un punto interrogativo. La matrice della parola tramezzino si può invece ritrovare in una vecchia definizione del 1870 che spiega cosa sia il «panino gravido» toscano: «Chiamasi quello spezzato in due orizzontalmente, e messoci tramezzo fette o di salame o di prosciutto; poi sovrapposto all’altro, e mangiato a quel mo’ a bocconi».

 

Le prime ricette di tramezzini vengono pubblicate sulla rivista “La cucina italiana” nell’agosto del 1936 e sono, neanche dirlo, in tutto e per tutto identiche ai sandwich, tanto che vengono usati entrambi i termini, nonostante i divieti autarchici. Il motivo per cui Torino e Venezia si contendono il primato del tramezzino sarebbe tutto da indagare, ma probabilmente è connesso alla presenza di una prospera borghesia cittadina con un carattere esterofilo. Detto questo, il fatto che una città si voglia intestare l’invenzione del tramezzino è piuttosto strano, almeno quanto lo sarebbe rivendicare la paternità della pallacanestro solo perché ha un nome italiano, fingendo di non sapere che si tratta pur sempre del basket statunitense.