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La carbonara l'ha inventata un soldato americano? Fa niente, è un simbolo dell'Italia

La carbonara l'ha inventata un soldato americano? Fa niente, è un simbolo dell'Italia
Ogni tradizione è frutto di mescolanze ed eredità: ma anche i piatti nati da contaminazioni rappresentano dei patrimoni identitari del Paese che li ha fatti propri
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La cucina italiana è come l’araba fenice. Che ci sia ciascun lo dice, cosa sia nessun lo sa. E proprio come l’araba fenice sopravvive a tutte le polemiche sulla sua esistenza. Come quelle sollevate da Alberto Grandi che, in un’intervista al Gusto, ha decostruito l’identità gastronomica tricolore. Con argomenti spesso esatti ma ancor più spesso non veri. Come l’origine non italiana di molti piatti della cucina nazionale. Esempio classico il pomodoro, entrato nei nostri piatti solo nel Settecento, mentre in Messico, terra d’origine del tomate, si vendeva in conserva nella piazza di Tenochtitlan molti secoli prima di Cristo. Ma nonostante i due millenni di ritardo rispetto a quello mesoamericano, il pomodoro italiano ha raggiunto una fama mondiale molto superiore a quella del suo antenato azteco. 

In realtà ogni cucina è il frutto di mescolanze, prestiti e incroci.  Perfino il piatto più tradizionale, la più locale delle tipicità hanno dentro la traccia dell’altro. E molti degli ingredienti base della gastronomia nostra e altrui, vengono da paesi lontani. La nostra parmigiana, la moussaka greca, il karniyarik turco, le berenjenas fritas spagnole non esisterebbero se le melanzane non fossero arrivate dall’Oriente. Ciò nonostante, questi piatti rappresentano altrettanti patrimoni identitari. Autentici beni culturali che in molti casi l’Unesco ha iscritto nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità. Come ha fatto con la cucina francese, con quella messicana, con la dieta mediterranea o con l’arte dei pizzaiuoli napoletani. E di recente con la baguette transalpina. Che peraltro è fatta con grani nati e coltivati altrove. Ma a dispetto dell’origine, resta un simbolo di appartenenza, una bandiera della francesità da tenere orgogliosamente sotto il braccio come fanno i parigini doc, anche quelli di origine nordafricana o antillana.  

In realtà quel che lega un cibo a una terra non è la nascita ma l’adozione. E soprattutto la dedizione che gli abitanti di un paese hanno messo nel far propri un ingrediente, una pianta, una razza animale nati altrove. Perché quando un popolo adotta un cibo sparisce ogni differenza tra figli e figliastri. E non fa niente se la carbonara l’ha inventata un soldato americano. Questo non le ha impedito di diventare un simbolo planetario del mangiare romanesco prima e italiano poi. E il fatto che all’evoluzione della cucina italiana abbiano contribuito gli italiani d’America non la rende meno italiana. Anzi. Lo sapeva bene Martin Scorsese quando nel 1974 girò quel meraviglioso cookbook che è Italian American. Protagonista assoluta è sua madre Catherine, classe 1912, che prepara le polpette al sugo davanti alla macchina da presa. Una dichiarazione di italianità immaginata, visto che era nata a Manhattan, ma proprio per questo ancor più vissuta e sognata. Al New York Film Festival di quell’anno la ricetta che scorreva nei titoli di coda fu salutata da una standing ovation. Un omaggio all’epopea di tre generazioni di migranti narrata attraverso la preparazione di un piatto di polpette. E se non è cucina italiana questa!

Insomma, l’identità, gastronomica, religiosa, paesana, cittadina è essenzialmente una rappresentazione, un sentimento, un’emozione, una memoria. E come tale non ha confini. Se non quelli della mente e del cuore.