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Al "Nuovo Macello" c'è la vecchia Milano (che resiste ma si rinnova)

Al "Nuovo Macello" c'è la vecchia Milano (che resiste ma si rinnova)
Da quasi un secolo la trattoria rispetta quella tradizione in cui i piatti mantengono ciò che promettono. A guidare il locale adesso c'è la terza generazione
3 minuti di lettura

“I piatti sono ideati dallo chef Giovanni Traversone. Realizzati con la collaborazione di Eshak Nakhla, Filippo Ciaraldi, Batoom Derrick, Alessio Landicina, Federico Calvi e Sameh Maweid”. E’ la prima cosa che, dopo esservi accomodati al tavolo, leggerete in cima al menù della Trattoria del Nuovo Macello di Milano. Una frase che raramente troverete sulle carte dei ristoranti, di ogni livello. Ed è, per certi aspetti, un utile indizio per comprendere il vero spirito di questa trattoria: il rispetto. Nel caso specifico il rispetto del lavoro, la consapevolezza che una squadra non è fatta solo da direttori d’orchestra ma di musicisti che, ciascuno per il suo ruolo, contribuiscono all’armonia del risultato finale. Ma si riverbera, ovviamente, anche a tavola, su ciò che proverete: rispetto per i clienti, grazie a piatti che mantengono ciò che promettono; per la tradizione, ingentilita quanto basta ma mai tradita; per le materie prime, spesso dichiarate con “nome e cognome” dei produttori.

E mentre fuori si rincorrono poke, sushi e locali sfavillanti, qui i mondeghili e l’insalata di nervetti restano fedeli come gli arredi di una casa borghese. Nella quale respirerete l'aria della vecchia Milano che, in maniera gattopardesca, cambia tutto per restare fedele a sé stessa. Certo, il Macello dell'insegna non è più nuovo. Lo era però nel 1928, quando il locale aprì i battenti proprio lì a due passi. Quasi una mensa popolare. Di quelle che, con acume, sorgevano sempre nei pressi di mercati e fabbriche. Cucina semplice, di sostanza, per clienti dal lavoro duro e dai robusti appetiti.

Un primo cambio di passo nel 1959, vigilia del boom economico italiano. Nella piccola osteria di via Lombroso arriva, dopo aver cambiato mille mestieri, Giovanni Traversone, nonno dell’attuale cuoco. Origini genovesi e mente aguzza. Narra la leggenda che scelse proprio questo locale perché vedendo i cardini della porta d’ingresso molto consumati capì che il via vai della clientela era assiduo, e gli incassi soddisfacenti. Detto fatto, lui in sala e la moglie Maddalena in cucina, inizia la seconda fase di vita della trattoria. I piatti sono sempre quelli della precedente gestione, a cominciare dal quinto quarto proveniente appunto dal macello, o la cassoeula (ormai sempre più introvabile nella ristorazione moderna). Ma il locale diventa anche un punto di riferimento del quartiere. Il biliardo, la prima tv, il rito mattutino del caffè, le partite a scopone. Tutto contribuisce a creare un’atmosfera di famiglia, con il suo corredo di calore, buoni sentimenti e qualche litigata. E non a caso, arredi e suppellettili arrivano dalle case di nonni e zii, che li donano volentieri per sostenere il sogno di un’impresa di famiglia. Il maestoso e affascinante bancone bar che troneggia accanto all’ingresso no, resta quello originale del 1928.

Un clima che rimane praticamente immutato per quasi 40 anni, fino al 1998, quando le redini vengono prese in mano dai nipoti di Giovanni e Maddalena. Invertendo però i ruoli tra sala e cucina. E così ai fornelli va il giovane Giovanni, mentre il servizio lo cura, con garbo, la sorella Paola. Si inizia con i piedi di piombo, nel segno della continuità. Che non è nostalgia del passato ma amore per le proprie radici. Poi, a mano a mano che cresce l’esperienza, e con essa la sicurezza dei propri mezzi, si tentano anche nuove strade: la carta dei vini si arricchisce, e varca i confini regionali e nazionali, la cucina si modernizza, alternando colpi d’ala e solidità tradizionale, cresce la consapevolezza verso un cibo che non è più solo nutrimento ma anche cultura del territorio. E con il tempo cambia, e non di poco, anche la clientela: la vecchia mensa popolare in posizione un po' decentrata diventa un ristorantino che, senza clamore e proclami, si è affermato come uno dei posti "giusti" in città. E sono adeguati ai tempi i prezzi (non bassi, ma raramente eccessivi).  

 

Però, spiegano i Traversone, “la nostra storia è nel cuore della tradizione culinaria milanese e nel calore dell’accoglienza sincera di persone semplici e appassionate del loro lavoro quali erano i nostri nonni e poi i nostri genitori. Oggi molte cose sono cambiate ma a pensarci bene, nemmeno troppe”. E infatti i capisaldi del menù continuano a restare due classici baluardi della cucina milanese: il risotto allo zafferano, e soprattutto la cotoletta alta e con l’osso che, immancabilmente, primeggia anno dopo anno nelle classifiche delle migliori della regione. Come ben sapeva anche un certo Gualtiero Marchesi, che qui capitò grazie al passaparola dei suoi clienti, e di questi piatti si innamorò.

 

IL PIATTO SIMBOLO: COTOLETTA ALLA MILANESE

Fino a qualche anno fa si rischiava la delusione di non trovarla in menù, perché soggetta alla “disponibilità sul mercato”. Per fortuna adesso questo pericolo non si corre più grazie ad un accordo con una famosa macelleria che ne garantisce la fornitura costante, seguendo le indicazioni dello chef, a cominciare da una frollatura minima di 40 giorni. E in effetti non assaggiarla sarebbe un peccato: quella della Trattoria del Nuovo Macello è l’apoteosi della cotoletta: alta ma succulenta, rosata ma cotta al punto giusto, con una panatura dorata ma asciutta. In menù avrete l’opzione di sceglierla con l’osso o senza. Noi vi consigliamo, decisamente, la prima versione.