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Addio a Pino Masuelli, con la sua trattoria ha segnato la storia della cucina milanese

Pino Masuelli in una foto tratta dalla pagina Facebook del locale
Pino Masuelli in una foto tratta dalla pagina Facebook del locale 
Il locale, Masuelli San Marco, ora gestito dal figlio Max, è un baluardo della tradizione. E tra i suoi tavoli ha mosso i suoi primi passi la nascente Slow Food
2 minuti di lettura

Ci ha lasciato Pino Masuelli, una delle colonne della cucina milanese, baluardo della genuinità e classe delle trattorie di altri tempi. Classe 1937, è nato solo 16 anni dopo la fondazione, da parte dei suoi genitori, di quella Trattoria San Marco che lui ha reso Masuelli San Marco, portandola a essere uno dei cuori pulsanti della gastronomia milanese.

 

E non solo, visto che tra questi tavoli, tra i tanti convivi noti, uno su tutti ha cambiato il futuro di questo settore. Proprio tra i classici arredi in legno, dopo una cena da vera osteria, Carlin Petrini e gli altri sodali hanno sancito la nascita di quella che sarebbe diventata Slow Food.

Tanti i motivi per cui la Trattoria Masuelli San Marco, oggi gestita dalla terza generazione, non solo merita, ma ha di diritto, un posto tra gli indirizzi più importanti d’Italia. Molti formali e storici, ma altrettanti umani e diretti, che hanno a che fare indelebilmente con la figura di Pino, “che è stato la colonna di questo luogo e questo ristorante è stato la sua vita”. Lo racconta con l’amore di un figlio che ne ha seguitato l’arte Massimiliano, ma lo raccontano anche tutti coloro che hanno avuto la fortuna, durante la loro vita e i suoi lunghissimi anni a lavoro, di farsi servire da lui.

Massimiliano "Max" Masuelli
Massimiliano "Max" Masuelli 

Perché mangiare alla tavola di Pino Masuelli era sempre una grandissima avventura. Un viaggio nelle storie del cibo raccontate da un signore del servizio di sala, prima che questo diventasse di moda come argomento di talk show gastronomici. Ogni piatto veniva sentitamente raccontato, nella sua storia prima ancora che nei suoi ingredienti, o forse ancora tutto insieme come un valzer. In cucina prima la moglie Cleofe, per tutti Tina, poi il figlio Max. In sala, sempre e continuamente lui, immarcescibile e appassionato, il primo ad aprire “la porta alle 07.30 del mattino e sempre l’ultimo a chiudere” il locale perché, come amava dire in molte occasioni: “Ogni giorno è diverso dall’altro”. E lo era anche a tavola (“giovedì, cassoeula”), tranne che per una tradizione che aveva inaugurato Pino e che poi continua ancora oggi: parte della spesa si fa in Monferrato, terra d’origine della famiglia Masuelli (per la precisione, nata a Rocchetta Tanaro), perché “il coniglio deve venire da lì”, altrimenti non è buono.

Alla fine degli anni ’60, quando prese in mano le redini del ristorante di famiglia, fu lui a segnare la fortuna gastronomica - pur non cucinando - del ristorante che ancora oggi ha un posto d’onore nella mappa cittadina. Sapeva da sempre che voleva “continuare la tradizione di una cucina di influenza regionale classica”, però alleggerendola nei grassi e rendendola più moderna ancora prima che nascesse, la cucina moderna.

Cucina di influenza. Altro caposaldo della sua eredità: “fu il primo probabilmente a portarla in città con il suo menu” Milano centrico, come spiega sempre con grande energia Max, ma con uno spazio orgogliosamente e sfacciatamente piemontese. Gli agnolotti del plin migliori del mondo, insieme a sua maestà la cotoletta che lui, Pino, amava ricordare andasse “finita come se si suonasse la fisarmonica”. Poco importa che tu fossi Michelle Hunziker impegnata in una cena post-Zelig (cene che si tenevano molto spesso lì) o un avventore qualsiasi: se lui era in sala non la potevi finire con forchetta e coltello. Andava addentata.

Oggi è il tempo di piangere e ricordare: chi un amico, chi il padre, chi una persona bella che hanno conosciuto nella loro vita. Ma è anche il giorno per capire cosa portare nel domani dell’eredità di Pino Masuelli. “Lui amava fare ogni giorno le stesse cose, gli stessi gesti, per potersi migliorare continuamente”. Un promemoria per le nuove generazioni così come lo era per le vecchie (i battibecchi in sala con Akram, lo storico cameriere della Trattoria, sono passati alla storia) e un monito forse per tutti. A non morire sono le belle persone, le cose fatte bene e la tradizione vera, quella delle radici del cuore.