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Giornata della Terra, Roversi: "È l'ora di mostrare il nostro coraggio"

Sara Roversi, fondatrice del Future Food Institute
Sara Roversi, fondatrice del Future Food Institute 
Il tempo è scaduto, non possiamo permetterci di osservare. Il cibo è l’elemento emblematico della relazione uomo-natura
3 minuti di lettura

A 53 anni dalla istituzione della Giornata Mondiale della Terra, che cos’è cambiato? L’umanità continua a trasformarsi dal punto di vista culturale, geopolitico, sociale; continua a intrecciare equilibri e a sconvolgerli; a inventare tecnologie rivoluzionarie e a renderle rapidamente obsolete.  utto cambia. Tranne l’animo umano. 
Dalle categorie aristoteliche, ai peccati capitali, l’animo umano resta immutato nei secoli, svelando di continuo una matassa di contraddizioni complesse che passano dal genio creativo che conserva la specie e la edifica, all’eterna indole autodistruttiva. In origine fu il Caos, scrisse Esiodo, e poi Gea dall’ampio petto, sede perenne, sicura di tutti. Ed è ancora il Caos. 

 

E ancora Gea sostiene e accoglie l’esistenza, se l’umanità le permette di farlo, smettendo di scalpitare e distruggere proprio il ventre che la accoglie. Proprio lo stesso suolo sotto i propri piedi; proprio la stessa aria nei suoi polmoni e l’acqua che la tiene viva. A 53 anni dalla istituzione della Giornata Mondiale della Terra, sono cambiati anche i movimenti ambientalisti, ma non la matrice che li muove, la doverosa provocazione, quel guitto di rivoluzione che però a volte si infrange contro argomentazioni sfilacciate che suonano come nenie e slogan che corrono di bocca in bocca, senza saperli davvero spiegare. E il paradosso è che oggi non serve neanche saperli spiegare, perché abbiamo avvelenato la Terra e noi stessi, ci siamo ammalati e questo basta.
Tutti giù per Terra! 

(ph. Bruno Murialdo)
(ph. Bruno Murialdo) 

Cos’altro dobbiamo ribadire con una scienza che grida questo allarme da anni, immersa nelle contraddizioni di modelli sociali ed economici che in quella malattia hanno già dimostrato di aver fallito?
La rabbia dei giovani, rude, mal direzionata e male argomentata è una verità sacra in sè, che è un delitto continuare a ignorare perché è così che stiamo facendo ammalare anche il futuro. E non è tardi per cambiare i presupposti e i modelli, le mentalità, per educare, per disegnare nuovi indicatori.

 

Ma è tardi se non lo facciamo adesso. È appunto quello che ci spiega l’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, il più importante gruppo al mondo di scienziati che dal 1988 dovrebbe rappresentare lo strumento più potente della politica internazionale, per guidarla su  basi scientifiche verso la sostenibilità. Lo scorso 19 marzo, l’IPCC ci ha comunicato che quanto è stato fatto finora per tutelare quel «prima» non è stato sufficiente. Il Rapporto che il gruppo ha pubblicato, ribadisce che le azioni umane hanno «inequivocabilmente» causato profonde lacerazioni, imponendo alla Terra un cambio di passo. Ma di quale Pianeta B stiamo parlando? La Terra sopravviverà agli aumenti di temperature, al veleno che stiamo buttando nei mari, nell’aria, nell’acqua, nel suolo. L’umanità no. Non c’è un’umanità B. Così dovremmo dire. Invertire la rotta passa da un cambiamento radicale e tempestivo che dovremmo fare per salvare noi stessi. Non il Pianeta.

 

Da dove partire, nel Caos delle contraddizioni che abbiamo creato, consolidato e lasciato autodeterminarsi? 
Dall’educazione; dalla ricostruzione dei legami perduti tra gli individui; dall’edificazione di una sociale catena umana che si muova nella stessa direzione; dalla diversità e biodiversità; dalla capacità di seguire i tempi della natura e non la frenesia indotta da modelli economici e sociali anacronistici e disegnati su presupposti semplicemente sbagliati, e cioè della disponibilità infinita delle risorse, che invece sono scarse, e dello sfruttamento di esse per ingrassare gli ingranaggi di modelli fittizi e in contrasto con la natura. 

È un fatto cioè di equilibrio tra tempi e spazi dove accomodare un’esistenza umana che è concordate ed è parte della natura, e non una metastasi che nasce per distruggerla. Anche lo “human centered design” come approccio alla progettazione innovaztiva di prodotti e servizi, si candida alla generazione e validazione dell’equivoco ancestrale che umano e natura siano distinti. Il “Life centered design”, al contrario, suggerisce immediatamente che l’umano è natura e che quel che è buono per l’uomo lo è automaticamente anche per la natura e viceversa. Il resto, lo possiamo buttare nella raccolta differenziata. L’elemento emblematico di tale relazione è il cibo. Il cibo che arriva sulle nostre tavole, rappresenta la sintesi perfetta. Le radici, la storia, la strada, e la vita delle risorse che dalla natura provengono; ma è anche la linfa che nutre la salute mentale e fisica dell’uomo, in una danza che lega nel concetto di One Health che tanto promuove l’ONU, tutti gli elementi essenziali che i modelli di ecologia integrale rimettono in equilibrio e quindi, ancora una volta, in “vita”. Nessuna emergenza è più importante di questa. 


È un fatto letteralmente “di vita o di morte”. Buona Giornata della Terra 2023, dunque. Buona celebrazione con questa consapevolezza, con questa urgenza, con la coscienza che nulla sia maggiormente prioritario, salvo pagare il prezzo più alto che l’umanità possa immaginare. Sia questo il tempo per smettere di parlare e cominciare ad agire e ad agire in fretta. Sia il tempo dell’agricoltura rigenerativa; dei modelli olistici per la salute integrale, fisica e mentale dell’uomo, degli animali e del Pianeta; del convivio come strumento di diplomazia; della valorizzazione delle identità territoriali; sia il tempo della biodiversità. Quindi, sia il tempo dell’adozione reale dello stile di vita - “Dieta Mediterranea” animato da principi universali che convergono su un unico grande concetto: “cura”. “Curare” e “prendersi cura” genera bellezza e prosperità inclusiva, creando quel magico equilibrio che diventa “salute” per la terra, l’essere umano, e la comunità. Sia il tempo del coraggio, dell’audacia, dell’ambizione delle proposte perché non è più tempo di esser tiepidi e indecisi, semplicemente perché di tempo non ce n’è più.