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Il piacere della cucina romana nel nome di Sora Lella

Sora Lella Fabbrizi
Sora Lella Fabbrizi 
Nella trattoria sull'Isola Tiberina, nel centro della Capitale, sapori robusti e tradizionali. In cucina e il sala i nipoti della sorella di Aldo Fabrizi
3 minuti di lettura

Difficile, in questo caso, non essere banali. In genere scrivendo un articolo si cerca di evitare i sentieri già battuti, il già letto. Ma, nel raccontare questa storia, è impossibile non partire da lei, dalla Sora Lella Fabbrizi (sì, all’anagrafe le B erano 2) dalla quale la trattoria prende il nome. Matrona maxima della Roma più verace. Icona della romanità in generale e della sua espressione in cucina (cercato online, per farvene un’idea, il video nel quale spiega, alla sua maniera, come preparare il pollo con i peperoni, o quello nel quale si aggira come una regina popolana tra i banchi del mercato di Campo dei Fiori dando consigli su come fare la spesa).

Altrettanto difficile non spostare lo sguardo all’esterno del locale, guardarsi intorno e vivere la magnificenza del luogo magico dove la trattoria si trova. Quell’Isola Tiberina “core de Roma”, con il Tevere ormai non più biondo che le scorre intorno indifferente, circondata da autentiche miniere di sapori cittadini, il Ghetto e Trastevere. Come dire, un ristorante al centro di una cartolina.

Sono passati 30 anni da quando Sora Lella e la sua schiettezza ci hanno lasciati. Trenta anni da quando se ne andò sulla stessa isola che aveva eletto a sua cucina, in quell’ospedale dei frati dove nascono i romani de Roma. Ma riavvolgiamo il nastro del tempo, e teletrasportiamoci ben più lontano, in quel 1940 quando una giovane Elena Fabrizi (sì, anche Sora Lella è stata giovane…) e il marito Renato Trabalza, di mestiere facchino della cooperativa trasporto carni, decidono di fare il grande passo e tentare un’avventura: rilevare una piccola trattoria in piazza della Cancelleria. Decisione coraggiosa sempre, quella di avviare un’attività. A maggior ragione in quell’Italia appena scesa in guerra, tra tessere annonarie, miseria (quella vera) e giovani che partivano per il fronte. Il locale chiude nel 1946, più per dissapori tra gli sposi che per l’afflusso dei clienti, che è invece costante grazie alla bontà dei piatti della sora Lella, rustici quanto saporiti. Poco male: ci si rimbocca le maniche e si riapre prima a via dei Balestrari e poi nell’allora quasi periferico, ma altrettanto popolare, quartiere di San Lorenzo.

Nella sede attuale si arriva più tardi, solo nel 1959, e si sceglie il nome di Trattoria dell’Isola. Ma all’inizio, sorprendentemente, le cose non girano, anzi. Pochi clienti, debiti, rischio perenne di chiusura. Poi, quando la coppia ha quasi deciso di mollare, le cose cambiano. In meglio. Arriva qualche cliente gourmet, che si innamora di fritto di animelle e di tagliatelle con le rigaglie di pollo. Fa capolino qualche giornalista, incuriosito. E inizia il passaparola, sempre più efficace. E’ l’inizio di un successo che continua ancora oggi. Tutti gli anni Sessanta scorrono via sereni poi nel 1970 sora Lella lascia i fornelli.

Le subentra, dopo anni in sala, il figlio Aldo. Che come cuoco si rivela non da meno della madre, anzi. I suoi anni in cucina sono quelli del consolidamento, della crescita e anche degli esperimenti: non più solo i piatti della tradizione, nei quali la mamma era maestra, ma anche sue invenzioni personali. Ovviamente nessun azzardo, si rimane sempre nel solido solco di una cucina robusta e per appetiti forti. I nomi dei piatti di quegli anni, che ancora troverete nel menù, non lasciano adito a dubbi, basti pensare ai tonnarelli alla cuccagna o ai cannolicchi alla mattacchiona: qui non si scherza, in trattoria si va per mangiare, possibilmente tanto, e godere altrettanto. Mentre Aldo spadella, i suoi figli crescono.

Da sinistra: Aldo Trabalza, Mauro, Elena, Renato e Simone
Da sinistra: Aldo Trabalza, Mauro, Elena, Renato e Simone 

A dire il vero Renato, Mauro, Simone ed Elena non sembravano molto interessati a seguire le orme della famiglia. Iniziano altre strade, alcuni studiano cinema: Del resto, come resistere al fascino della storia di zio Aldo Fabrizi e a quella della nonna Lella, che in quegli anni diventa una star del grande schermo (grazie all’incontro con Carlo Verdone) e della tv (grazie alla costante presenza al Maurizio Costanzo Show). Ma alla fine tutti decidono di tornare “a bottega”: il primogenito Mauro approda in sala poi, nel 1994 Renato entra in cucina (che ancora oggi governa), seguito da Simone, che si occupa dei vini e infine da Elena, donna di conti e marketing. La famiglia Trabalza è ora al completo, e con la nuova generazione parte la fase che porta ai giorni nostri e rende la Trattoria Sora Lella un punto fermo della cucina della Capitale. Modernizzandosi, certo. Ma rimanendo fedele allo spirito delle origini. Del resto, con cotanta nonna…

 

Il piatto simbolo: gnocchi all’amatriciana

Gli gnocchi all'amatriciana (foto di Marco Varoli)
Gli gnocchi all'amatriciana (foto di Marco Varoli) 

Amatriciana sì, ma con gli gnocchi. E’ questo l’insolito formato che da Sora Lella hanno scelto per il condimento più classico (sì, più della carbonara) della cucina romana. Una ricetta che, tradizionalmente, si prepara con gli spaghetti, anche se in tempi più recenti nelle abitudini degli osti capitolini ha preso il sopravvento la pasta corta, a cominciare dalle mezze maniche o dai bombolotti.

Quelli che prepara Renato Trabalza, partendo da patate amidacee e farinose, sono sontuosi, ricchi di salsa, tirata e non acquosa, e abbondano di guanciale, sia al pepe che affumicato, un mix che ci sentiamo di consigliare anche per le vostre amatriciane casalinghe.