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Dalla granita alla pizza, la rinascita gourmet di Messina (troppo spesso sottovalutata)

Dalla granita alla pizza, la rinascita gourmet di Messina (troppo spesso sottovalutata)
Oltre lo Stretto, teatro di miti e leggende, una città che si svela a poco a poco fra pignolate, lievitati, piatti di mare e tre Doc del vino: ecco dove e cosa mangiare
7 minuti di lettura

Sciroccu, malanova e piscistoccu a Missina non mancunu mai (il vento scirocco, le brutte notizie e il pescestocco a Messina non mancano mai) recita il detto messinese, a metà tra proverbio e mantra. La città dell'artista Antonello da Messina è molto di più di un porto di frontiera e porta d’oriente della Sicilia. Avvolta da un fascio di luce, accarezzata dal Grecale da Nord-Est e dallo Scirocco da Sud, Messina si snoda lungo la costa fino ad arrivare ai monti Nebrodi e Peloritani per trovare nel mare la sua piena identità e fascino. Quello Stretto che la separa dal “continente” per soli 3.5 km, diventa geografia umana e matrice di miti e leggende. Come quella di Scilla e Cariddi, i due mostri marini che vivevano nello Stretto di Messina, o di Orione, cacciatore gigantesco che era stato trasformato in una costellazione a forma di scorpione da Artemide. A Messina nasce anche la leggenda di Peloro, il marinaio di Annibale che fu ucciso dallo stesso duce cartaginese durante la traversata dello stretto e quella dei giganti Mata e Grifone, le cui statue di cartapesta vengono portate in processione per le vie della città nel periodo di Ferragosto. I racconti parlano anche di Riccardo cuor di leone e del suo assedio in città.  La più resiliente della Sicilia-rasa al suolo più volte, l’ultima dal devastante terremoto del 1908 e dai bombardamenti del 1943- Messina ha dimostrato di saper rinascere sempre con eleganza e sobrietà. Forse ancora poco consapevole del suo fascino e della sua bellezza, si lascia scoprire con timidezza dai viaggiatori, lasciando loro la curiosità e sorpresa di angoli e luoghi che si svelano all’improvviso.

 

Non è un azzardo (anche se, sopratutto, palermitani e catanesi si arrabieranno...) definirla la capitale enogastronomica della Sicilia, un luogo dove resistono eccellenze e tradizioni di ricette e piatti che sono diventate delle vere e proprie icone culinarie. E dove la pasticceria ha fatto scuola, rielaborando ricette storiche lavorando sul fattore leggerezza e contenuto di zucchero. Messina vanta anche un altro primato di città e provincia: racchiude tre aree vitivinicole rappresentate in tre Doc, Faro, Mamertino e Malvasia delle Lipari. E aggiunge anche un dato storico: il Mamertino era il vino amato da Giulio Cesare.  La città peloritana è riuscita con successo a conservare un patrimonio culinario senza cercare rifugio in mode e tendenze passeggere. Resta con orgoglio e identità la città della granita “mezza con panna”, dei pitoni (pasta non lievitata, fritta e riempita di tuma, acciughe, scarola, pepe), della focaccia messinese, delle braciole (involtini di carne) e degli involtini di pesce spada, della pignolata (“gnocchetti” di pasta fritta, glassati metà al cioccolato e metà al limone) del mitico stocco “a ghiotta” (stoccafisso condito col tipico sugo al pomodoro conolive verdi, capperi, sedano, cipolla e patate). Per gli amanti del vero e oggi raro cibo di strada e non dello street food, Messina non si risparmia con tajuni, virina, stigghiole, paddi i boi: rispettivamente l’ultimo tratto dell’intestino bovino (digiuno), le mammelle di mucca, le interiora dell’agnello, i testicoli di bue.

 

È la ristorazione il capitolo terzo della vita di Pasquale Caliri, ex giornalista, ex sportivo, allievo della blasonata scuola di alta cucina Alma di Gualtiero Marchesi, Ambasciatore del Gusto. Dopo una vita da globetrotter- dall’Oriente agli Stati Uniti- torna nella sua città e si fa portavoce di una cucina moderna legata al territorio messinese ma anche al Mediterraneo.  Chef dell’elegante “Marina Del Nettuno Yachting Club”, dove si gode di una delle viste più belle sullo Stretto, la sua cucina è espressione di tecnica, creatività e qualità. La rivisitazione come ricerca degli ingredienti e rispetto delle materie prime fa il paio con l’ innovazione come tecnica che gioca sull’ equilibrio dei sapori. Messina in un piatto? Lo chef Caliri non ha dubbi: “Ghiotta fujuta”, un’interpretazione del pesce stocco a ghiotta con spuma di patate.

 Pasquale Caliri
 Pasquale Caliri 

 Pronto a riaprire i battenti nella sede storica di Contesse è Lillo Freni, maestro pasticcere di grande esperienza che ha una missione ben precisa: recuperare e conservare il patrimonio della pasticceria messinese. Che lui definisce “innovativa” nella rivisitazione senza stravolgere i classici parametri di riferimento e distinguendosi dal resto dell’Isola per la ricerca della qualità e del gusto. Merito dell’eredità formativa di maestri come Salvatore Irrera e Doddis, e ancora prima di Carlo Scandaliato e Charles Jeni.

 “Quello che contraddistingue la pasticceria messinese è quel gioco sapiente ed equilibrato nel ridurre gli zuccheri esaltando la qualità”. Il dolce messinese per eccellenza per Freni è la Pignolata mentre l’ingrediente simbolo che conferma l’eleganza della pasticceria è il cioccolato gianduia.

Il pasticciere messinese, promette di  valorizzare la storica cultura dei biscotti messinesi, che nasce con la tradizione conventuale (biscotti a fette, piparelli, nzuddi, biscotti Umberto , biscotti al burro, ciambelle di pasta frolla, dischetti, nipiteddata, nchiazzati)  e quella della pasticceria peloritana (agnello di pasta reale ripieno di torrone gianduia , torrone gelato, Stella di Natale con pasta di mandorle, pan di Spagna e cedrata, semifreddi a trancio con gianduia, tronchetto pasquale) oltre ai grandi lievitati dove l’artigianalità di Freni  trova il connubio con l’alta qualità. Rompe gli schemi Michele Ainis, che con coraggio si stacca dalla pasticceria tradizionale messinese e vira verso la contemporaneità.  La Perle - Patisserie De Luxe, è una boutique patisserie e bistrot, che si ispira alla Francia e offre un menù degustazione- dai petit four, pre-dessert, praline, sorbetti e gelati artigianali – in abbinamento con i vini.

 

Re dei lievitati e dell’arte bianca, Francesco Arena rappresenta la terza generazione di panificatori e fa il bis con un panificio-bistrot nel cuore di Messina. Non di solo pane- rigorosamente con lievito madre e con farine di grani antichi- vive il maestro Arena. Che si lascia tentare con successo da colombe e panettoni e che ormai è un riferimento per la tavola calda e gastronomia. A partire dalla famosa focaccia messinese, i pitoni, la pizza alla pala, le focacce farcite. Altri due indirizzi storici per la panificazione sono Cannata- La Boutique del pane e Panificio Laganà.

Più che un classico ristorante, una “casa aperta agli amici”, dicono i proprietari di Casa&Putia, che ha sposato la filosofia dei presidi Slow food e Alleanza tra cuochi celebrando la cucina siciliana attraverso la sua storia e quella dei sui piccoli produttori. Prova ne è il menù: dal carpaccio di stocco con capperi e cucunci di Salina, la caponata di calamaro con salsa di pomodoro buttiglieddru di Licata, i ravioli ripieni di sarde su letto di crema di caprino girgentana.

C’è tutto il sapore della tradizione di una volta nella Trattoria del marinaio a Galati Marina, a sud dei Messina. Carlotta Andreacchio, giovane imprenditrice della ristorazione, punta sulla genuinità e freschezza della materia prima creando un menù dove il mare è l’assoluto protagonista (pepata di cozze, l’arancinetto di tonno, l’insalata di polpo, la parmigiana di pesce spada, il fritto di paranza, la calamarata con il pesce spada, gli involtini di pesce spada). Un palazzo del centro, ex monastero del 1600 è lo spazio di Parametro, ristorante guidato dallo chef Antonio Arnaud che è anche bistrot, cocktail bar con una vocazione alla cucina contemporanea.

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Si scrive granita, si legge “mezza con panna”. Non chiamatela semplicemente granita: quella al cioccolato o al caffè è rigorosamente “mezza con panna” e nasce proprio a Messina, che rivendica e ottiene pienamente la paternità e il rito di mangiarla insieme alla “brioscia col tuppo”. Quella del pluripremiato maestro gelatiere Giuseppe Arena, ha conquistato pubblico e critica. Nella sua gelateria di fronte al Lago di Ganzirri, il legame con il territorio di Messina e provincia è forte: gelati alla gianduia di Capo Peloro, la mandorla amara di Tortorici, lo zafferano, la nocciola dei Nebrodi e il limone. Mezza con panna e non solo anche da Miscela D’oro, nella centralissima Piazza Cairoli e all’Eden bar, che dopo Torre Faro raddoppia in Corso Cavour confermandosi tra i riferimenti per gli appassionati delle granite.

 

La città che ha un pallino in testa….quello del lievito madre. Che sia napoletana verace o romana, soffice o crunch, con cornicione alto o sottile, con impasto diretto o indiretto, rotonda o al quadrato alla pala o al padellino, Messina si scopre una città devota al culto della pizza contemporanea. Quella di qualità, che assomiglia più all’alta cucina, per intenderci. Che punta sui dogmi della scuola moderna: impasto indiretto o diretto, massima idratazione, lievitazione e maturazione oltre le 48 ore, topping di qualità seguendo i criteri del territorio e stagionalità. Nato come primo pub della città negli anni ottanta, Il Pub di Saro Caminiti oggi è una delle pizzerie più note per la pizza napoletana sulle sponde dello Stretto. Tripletta per L’Orso di Matteo La Spada, acclamato e giovane pizza chef, che approda accanto al Duomo dove si diverte a giocare con impasti e ingredienti e sforna pizze come “Messinese secondo ME”,  con crema di scarola,  tuma, datterino rosso semi dry, acciughe del Mediterraneo, pepe e crema di parmigiano reggiano. Non solo le classiche napoletane ma anche le pizze gourmet fritte e in forno nel menù della pizzeria Basilicò di Andrea e Giovanni Pellegrino, altro indirizzo di successo in città insieme a Il Datterino.  Campano di nascita e formazione, Enzo Piedimonte porta la migliore scuola partenopea nella costa balneare messinese.  Da Piedimonte1.0, le pizze seguono con cura il protocollo dell’impasto con la biga, alta idratazione, mix di 3 farine, e ingredienti in tandem Sicilia e Campania.  Fuoriclasse ed enfant prodige della pallina di lievito madre, cresciuto con le mani in pasta, Sergio Russo è un vero e proprio fuoriclasse. Il pizzaiolo dei Tre Spicchi del Gambero rosso, dopo essere stato consacrato nell’Olimpo dei pizza chef con la pizzeria Da Clara, a Venetico Superiore, tiene alta l’asticella anche con il format più giovanile Verace elettrica, aperto in un centro commerciale a Milazzo.

Il rito perpetuo dei cocciulari di Ganzirri che si rinnova da trecento anni. Luogo di interesse naturalistico ma soprattutto antropologico, il Lago di Ganzirri è sospeso nel tempo e scandito dal ritmo lento dei cocciulari, pescatori del lago che si dedicano alla coltivazione e selezione delle vongole e alla pulizia e manutenzione delle acque del lago.

Muniti di coppo e rastrello, quello della cooperativa dei cocciulari è un lavoro di braccia e schiena che si tramanda da trecento anni e quattro generazioni. Rizze, veraci, lisce o femminedde sono i tre tipi di vongole del pantano che si nutrono di un ambiente naturalistico unico, tra le acque dei due mari, lo Ionio e il Tirreno, i banchi di sabbia e le sorgenti di gas

 

Dall’alto giù verso il porto: l’antica Zancle rinasce come l’Araba Fenice. Per i fondatori Greci fu “Zancle”, per via della forma a falce che aveva naturalmente il porto. Per chi ancora non ha avuto il modo di scoprire Messina, è una città capace di sorprendere per la sua storia e la ricchezza dei suoi monumenti. La bellezza è sobria, non per questo meno sorprendente e rara. Come la chiesa di Santa Maria Alemanna, unico esempio del gotico siciliano, o la Chiesa dei Catalani con le sue tracce normanne, bizantine, arabe. Immancabile passeggiata in centro con la tappa al Duomo, dove svetta il campanile e il suo orologio astronomico, la bellissima fontana cinquecentesca di Orione, il palazzo del Monte di Pietà e la Galleria Vittorio Emanuele III, la terza dopo Milano e Napoli. Con sorpresa, Messina è anche una città dove si respira arte. Si parte con i reperti archeologici de l’Antiquarium di Palazzo Zanca- che ricostruiscono la storia della città dal periodo greco a quello medievale- fino al bellissimo Museo Regionale che ospita tra i suoi tesori, due quadri di Caravaggio e due opere di Antonello da Messina.

Due chicche: la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Lucio Barbara, dove ci sono quadri di Renato Guttuso e Mimmo Rotella, il Museo Messina nel ‘900, costruito in un ex bunker antiaereo.

Vista dall’alto, Messina si coglie in un unico respiro ampio che abbraccia il mare e segue l’orizzonte ricongiungendosi con la vicina Calabria. La Messina “alta” è quella della Fontana Falconieri, della scalinata detta la Rampa della Colomba, del Santuario di Montalto con le nove sculture di sirenidi. Ma soprattutto, la pienezza della vista è quella che si afferra dal Sacrario di Cristo Re, ispirato alla Basilica di Superga di Torino. E poi giù verso il mare, lungo il Viale Boccetta, inseguendo le navi accolte o salutate dal Forte San Salvatore e dalla Statua della Madonna della Lettera.  Non senza aver ammirato la maestosa Fontana di Nettuno o il Teatro Vittorio Emanuele con il suo affresco realizzato da Renato Guttuso e dedicato al Mito di Colapesce. Ci si perde all’infinito verso Torre Faro e il suo complesso monumentale Capo Peloro o “Torre degli Inglesi”, dove ha sede il “Parco Letterario Horcynus Orca” e il MACHO, Museo d’Arte Contemporanea Horcynus Orca.