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A Milano apre "Vibe", il ristorante di Valerio Braschi: "Sarà colorato, pop e con sapori spinti"

Valerio Braschi apre "Vibe" a Milano
Valerio Braschi apre "Vibe" a Milano 
Il vincitore di Masterchef 6 lascia il "1978" di Roma per una nuova avventura: "I miei ospiti faranno il giro del mondo in una cena"
3 minuti di lettura

“Milano sarà la mia nuova meta, ma Roma sarà sempre nel mio cuore” così aveva scritto sui social Valerio Braschi, 25 anni, ex vincitore di Masterchef e chef del ristorante 1978 a Roma. E ai primi di giugno aprirà Vibe, in Ghisleri al numero 1, a poca distanza dalla metro Sant'Agostino, zona Solari. Vibe, “un nome corto ma pieno di significato e facile da memorizzare” racconta Braschi, “un mix tra atmosfera e vibrazione”.

Ce lo spiega meglio?

“Voglio creare un posto che unisce, con un' atmosfera elegante, ma anche fresca e giovane che si leghi a un menu pieno di gusti forti, pieni, di vibrazioni anche molto diverse le une dalle altre, voglio far fare ai miei ospiti un giro del mondo in una cena”.

Lo chef romagnolo
Lo chef romagnolo 

Il locale quindi sarà “vistoso”, e colorato come i suoi outfit. Estrosi diremo noi.

“Al 1978 ho avuto grande libertà ma in questo ristorante voglio buttarmi ancora di più anima e corpo” ed entra in società con Edoardo Maggiori, già imprenditore della ristorazione e proprietario della Filetteria Italiana. Abbiamo acquisito lo scorso mese il ristorante Massimo Pisati (uno chef che ha iniziato la carriera da Savini per lavorare nelle cucine di Paper Moon e poi per Bice a New York, ndr), ma lo stiamo completamente rivoluzionando. Vorrei stupire i miei ospiti sia nel contenuto che nell'estetica, che sia del piatto che del locale”.

Ci aspettiamo qualche piatto audace, come tanti che hanno fatto parlare di lei negli scorsi anni?

“Sì, aspettatevi un menu che definirei dai sapori decisamente spinti, con tanti piatti di contaminazione, ma il primo riferimento è quello di casa, la Romagna, per poi approdare con piatti della tradizione del nord Europa, indiana, giapponese, un ricordo di miei diversi viaggi. Vorrei che il mio menu fosse un'altalena, un sali e scendi di gusti. Ci sarà un menu degustazione da 10 portate e un menu alla carta con la scelta di 3 piatti a portata. Il brodo sarà protagonista tanti piatti piatti, ma lo presenterò come una portata vera e propria, non un mero accompagnamento”.

Qualche piatto caratteristico?

“Un piatto a base di ombrina, wasabi e foglia d'ostrica, un difficile bilanciamento tra un pesce molto delicato e un piccante che deve risultare estremo, ma che è studiato per spegnersi nel giro di qualche secondo. Se devo pensare al brodo più caratteristico del menu, quello di agnello. E un dolce, dedicato una città cara, Modena. Realizzato con un aceto balsamico invecchiato un secolo, Parmigiano e le ciliege, tutti gli ingredienti tipici di quel territorio”.

Valerio Braschi ai tempi di Masterchef 6
Valerio Braschi ai tempi di Masterchef 6 

Perché Milano?

“Lasciare il 1978 è stato molto difficile, facevamo il pieno tutte le sere e ho pianto come un bambino il giorno che ho consegnato le chiavi. Ma penso sia doveroso accettare nuove sfide, è l'età giusta per farlo, anche se Milano è un salto nel vuoto. Prima di approdare al 1978 ero solo il vincitore di un talent che si dilettava in cucina, mentre in questo ristorante ho avuto la possibilità di diventare un cuoco, quello che davvero sentivo di voler fare nella vita, fin dagli esordi. Con la gestione dei social si guadagna di più ma alla fine io mi sento a mio agio solo dietro ai fornelli. È stata una scelta difficile, agli occhi di chi si occupa di ristorazione in modo professionale vieni additato come quello fortunato, chi ha avuto una bella spinta, quella televisiva. Posso dire però che tutti i miei predecessori a Masterchef hanno aperto cucine più tradizionali, non gourmet, ci vuole molto studio e ricerca, conoscenza delle tecniche di cottura e preparazione. Spero di farlo abbastanza, sono sempre un autodidatta, ma non mi stancherò mai di leggere, studiare, sperimentare”.

E poi Milano...

“Certo chi vive qui ha un palato più abituato a piatti che possiamo definire “hard”, dai gusti decidi. Ma anche Roma, sebbene fortemente legata alla tradizione, si sta aprendo a questo tipo di cucina. Posso dire anzi che nei prossimi anni forse sarà alla pari di Milano”.

Difficoltà nel trovare il personale?

“Trovare un bravo sommelier o una buona brigata sembra essere una missione impossibile a Milano. Ma rispetto al 1978 ho una cucina molto più grande, anche se sono abituato a lavorare con brigate piccole, in quattro in tutto, me compreso. Solo otto servizi settimanali, tutte le sere con doppio turno solo il venerdì, sabato e domenica, con lunedì e martedì completamente liberi. Vorrei che nella mia cucina si gestissero orari di lavoro umani: il mio staff deve avere il tempo di coltivare i propri affetti e interessi. Meglio non prendere diverse persone con contratti volanti ma vorrei che tutti avessero un tempo indeterminato, per creare un ambiente di lavoro sano. E se dovranno fare degli eventi o degli extra, beh, devono essere remunerati a parte”.