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Tagliatelle e spaghetti vade retro: benvenuti nella trattoria dove ogni piatto è lombardo

Tagliatelle e spaghetti vade retro: benvenuti nella trattoria dove ogni piatto è lombardo
La propotsta di Trattoria Sincera, a Milano, è rigorosamente autarchica: solo prodotti e ricette della regione, per mantenere viva la tradizione
3 minuti di lettura

Guai a chiedere una pasta allo scoglio: qui non ci sono nemmeno le tagliatelle alla Bolognese, perché al centro di tutto c'è una Lombardia di cui, rigorosamente, non si varca il confine culturale. Sì ai ravioli, insomma, no alla Carbonara. Ma si mangia bene, eccome, alla Trattoria Sincera: indirizzo aperto da poco in una Milano (zona Lambrate, via Porpora) che, alla crisi della ristorazione gourmet, rischiava di affiancare quella di un'identità meneghina ai fornelli. Scongiurata, a quanto sembra, grazie alle giovani generazioni che moltiplicano aperture (o rinnovi) di insegne che spingono l'acceleratore su memoria e tradizione. Talvolta, come qui, si innesta il turbo di un'intransigenza felice e autarchica: la stessa che porta in tavola la giardiniera (offerta all'inizio della cena), i risotti, il quinto quarto e perfino l'asino (in costata). Tanti risotti, pochissima poca pasta: e il ragù è preparato con le frattaglie, proprio come lo si faceva in cascina.

Si valorizzano anche i fornitori di cuore lombardo: i salumi di Dionigi Spreafico (Marco d'Oggiono), che quando lo vedi disossare a mano un prosciutto crudo, sembra di assistere a un simposio di alta chirurgia specialistica. O gli stracchini di Carlo Fiori (Luigi Guffanti): quartier generale nella piemontese Arona «ma le referenze sono tutte lombarde, e a malincuore non abbiamo inserito il suo erborinato San Carlone al caffè, proprio perché fuoriregione e d'impronta piemontese», sono pronti a rispondere i camerieri. Baricentro classico, ma con qualche punto d'inventiva, come il risotto all'aglio nero con i rognoncini di coniglio o i 'pisarei e fasoi' che arrivano dalle zone che si avvicinano il Po. Il massimo punto forte è probabilmente quello dei salumi autoprodotti dallo chef Federico Bono, con il suo “prosciutto cotto rustico” che ricorda tanto la tradizione natalizia di terre molto più nordiche (un mese di lavorazione, quattro giorni di cottura e una settimana di riposo): alloro, pepe e ginepro sono le tre spezie che danno impronta alle bresaole d'asino e manzo, ai lonzini di maiale, ma soprattutto al lardo. Nel risotto giallo, perfetto, il segreto di casa è invece l'aggiunta del midollo in mantecatura, oltrechè, quasi fosse un confetto morbido, nella finitura del piatto.

Proprietari del locale non sono attempati nostalgici della tradizione, ma dinamici trentenni che in zona hanno anche un altro locale, Fred, di tutt'altro stampo, cocktail bar con cucina e store di dischi) che hanno colto, appunto, l'assenza di uno spazio: «Sì, ci siamo accorti – racconta Emanuele Casati, uno dei soci - che in zona mancava: quella trattoria che, da tempo, non si trova più. E abbiamo puntato tutto sulla sincerità, che oggi non si riflette esclusivamente nel prezzo, ma guarda ai contenuti, all'identità, a una ricerca di prodotti durata quattro o cinque mesi. Il nome non poteva che essere quello». Nella ricca dispensa lombardocentrica entra anche pesce d'acqua dolce e affini, al centro di una riscoperta recente ma tutt'altro che semplice un po' in tutto il nord della regione (oggi sembra fantascienza, ma i gamberi pescati nel Lambro poco fuori Milano erano prelibati e contesi).

La scommessa è interessante, perché dimostra come – con le dovute differenze - anche una trattoria di memoria possa rintracciare elementi emozionali che nulla hanno da invidiare alla magia gourmet: il primo è la scoperta, che qui non si riflette nella composizione di un amuse-bouche o di un antipasto, bensì nel bancone dell'ingresso, dove fanno la loro comparsa i barattoloni di giardiniera fatta in casa, oppure nella fragranza dei salumi affettati proprio mentre si aspetta l'assegnazione del tavolo (e come si fa a non ordinarne un assaggio una volta seduti?).

Un altro elemento è l'estrema “biodiversità tecnica” di ricette che, all'atto pratico, superano ogni tentativo di codificazione: oggi una buona trattoria è il simbolo riflesso di quella nonna “che il risotto, il minestrone o lo stracotto lo faceva così”. E un elemento è sicuramente del territorio, che sicuramente fa sempre più presa in una Milano gastronomicamente cosmopolita, dove si passa senza soluzione di continuità dalla cucina sudamericana, al gourmet globale, al brunch anglosassone, fino alla pizza d'ogni genere e altezza di cornicione e allo sconfinato stargate della cucina asiatica: la dottrina del passato passa anche dalla resistenza delle trattorie storiche, o dalla loro continuità nel passaggio generazionale (come nel caso del La Madonnina di via Gentilino, che mantiene un'impronta di memoria con la nuova gestione da poco al timone); o, ancora, in nuove formule come quella di Locale, dove Veronica Pagani, altra giovane ristoratrice, serve piatti e vini provenienti non oltre una distanza di cento chilometri. Oscar Wilde diceva che la tradizione altro non è che un'innovazione ben riuscita: vale anche per una nuova/vecchia Milano, complice un pizzico di narrazione che aiuta a riportare il territorio al centro.