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Ma la (vera) cotoletta è nata a Milano o a Vienna?

La cotoletta, uno dei piatti più amati in Italia @GettyImages
La cotoletta, uno dei piatti più amati in Italia @GettyImages 
La rivalità tra lombardi e austriaci va oltre la storia e si ritrova in cucina. Una specialità che ha un canone ben definito, ma conosce anche tante varianti
2 minuti di lettura

Ancor più delle Cinque Giornate del 1848, il simbolo che oppone Milano al “fu invasore austriaco” ha oggi la forma di una fumante bistecca panata. Cotoletta contro Wiener Schnitzel, insomma, in una “lotta delle origini” che nemmeno le guerre d'indipendenza sono riuscite a dirimere e sopire. 
La definizione, innanzitutto: cotoletta/costoletta, indica una “costola di bestia piccola colla carne attaccata”: e qui veniamo prima grande differenza con la Schnitzel, data dalla presenza dell'osso nella versione canonica lombarda e l'assenza in quella austriaca, dove la carne è battuta molto più sottile con il mazzuolo, quindi distesa a orecchia d'elefante. 
Invece non è vero che la viennese è esclusivamente di maiale: anche per essa si utilizza infatti il vitello, se non in versioni particolari come la Schnitzel Wiener Art, la Schnitzel vom Schwein o la Surschnitzel, quest'ultima con carne maiale affumicata. Va smentita anche la diceria secondo cui fu il maresciallo Radetzky, di stanza nel Lombardo Veneto dal 1831, a far conoscere la “Schnitzel milanese” all'imperatore Cecco Beppe: al tempo la “Wiener” era già universalmente nota. 

 

Le più antiche tracce documentali, però, sono certamente lombarde: un Glossario benedettino del 1739 traccia un “parvus lumbus feu imbrex porci”, che richiama a sua volta il lumbolos cum panitio atque porcellos plenos presente in un menu milanese del 1148 dove il panitio sta ad indicare la panatura di “un piccolo lombo di maiale al fuoco” (quest’ultimo documento della Basilica Ambrosiana è citato anche da Pietro Verri nella sua Storia di Milano). 


Il vitello si è intanto affermato come unica carne legittimamente deputata per la milanese: già la Guida Gastronomica d’Italia del 1931 del Touring Club consiglia “vitelli brianzoli” e mette in guardia dalle “povere contraffazioni che la ricordano solo vagamente”, scrivendo che «l’autentica costoletta alla milanese si fa con la carne tratta dal quadrello (in francese carré) cioé dalla regione delle costole; ogni costoletta conserva il gambo osseo a cui la parte carnea aderisce in banderuola. Battuta e passata in uovo sbattuto, impanata e fritta al burro, la costoletta dorata, tenera, appetitosa, fa la comparsa sulla mensa ornata di riccio di carta, “guernita” di patate fritte e croccanti, fiancheggiata da una fetta di limone». 

 @GettyImages
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Oggi la tecnica si è evoluta e anche trattorie storiche come Masuelli la propongono più leggera e con l’impanatura di panko. Finita anche nel panino, a guisa di street-food, l’impanata è uno strumento di orgoglio nazionale: addirittura, Giuseppe Mussi la cita nel 1882 in Parlamento, convinto che «la costoletta alla milanese e il panettone abbiano da conquistare il mondo civile molto prima e più completamente che le armate di Bismark».

 

Tra le “povere contraffazioni”, però, ci sono anche due curiose versioni entrate a pieno titolo nella memoria storica meneghina: le “milanesine in carpione” - fettine senz'osso panate e conservate sotto marinatura - e il povero “pan dorà”, sorta di “pane impanato senza carne”, insaporito solo con una fettina di lardo. La cotoletta, in senso esteso, ha assunto un carattere nazionale grazie alle diverse declinazioni regionali, a cominciare dalla bistecca panata, o “fettina”, fatta con il girello e presente nei ristoranti romani già a fine Ottocento (per i puristi dell’osso, nella capitale si trovano invece le costolette d’agnello fritte). Altre versioni note sono la Valdostana (chiusa a tasca con Fontina e prosciutto cotto) e la Bolognese, che si pensa già presente nel 1600 ed è citata, più tardi, nell'opera dall’Artusi. La sua Scienza in Cucina raccomanda di prepararla «con agro di limone, pepe, sale e pochissimo Parmigiano grattato»: la si completa con «delle fette di tartufi e sopra queste delle fette di parmigiano o di gruiera». Oggi la si trova per lo più fatta con prosciutto crudo e Parmigiano (solo eventualmente con aggiunta dei tartufi). La cotoletta “alla veneta”, invece, è con carne di vitello, senz’osso, marinata per due ore prima della cottura in olio, limone e cipolla; anche a Palermo, la si prepara in olio, panata con mollica ma senza uova, mentre per la faldìa piacentina (fritta di nuovo al burro) si usa il diaframma di cavallo.
La Grissinopoli (dal nome con cui Emilio Salgari chiamava Torino) è invece la versione che ha preso piede sotto la Mole, con panure di grissini sbriciolati al grezzo, che danno spessore e croccantezza.