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Alla scoperta dell'Agrigento del gusto, Capitale della cultura 2025

Alla scoperta dell'Agrigento del gusto, Capitale della cultura 2025
La città è rimasta un po' ai margini del Rinascimento gastronomico siciliano. Ma con le sue tradizioni (e l'impegno di alcuni giovani innovativi) ha molto da offrire
4 minuti di lettura

La più bella città dei mortali, così come definì Pindaro l’attuale Agrigento, custodisce il fascino eterno della gloriosa e greca Agrakas. Quanti versi, poesie, poemi, sono stati dedicati alla città di Pirandello ed Empedocle. Abbiamo attraversato le sue strade, le sue piazze, i suoi palazzi, leggendo le pagine dei romanzi del Premio Nobel siciliano; abbiamo vissuto la memoria che si fa ricordo e solitudine nei versi di “Strada di Agrigentum” di Salvatore Quasimodo. Con duemilacinquecento anni di storia alle spalle, Agrigento rivendica il suo passato e si proietta nel futuro dopo essere stata proclamata Capitale italiana della Cultura 2025.

La città che guarda al mare e alla costa del Nord Africa dalle morbide colline, si erge maestosa dalle colonne doriche di tufo della Valle dei Templi, e celebra la sua cultura gastronomica non rinnegando il passato. Meno attraversata da quel moto rivoluzionario culinario che altrove nell’Isola ha provocato forti scossoni e cambiamenti radicali, Agrigento, timidamente e con orgoglio, si fa portavoce di una propria identità gastronomica contemporanea. Dei vari popoli che vi si insediarono, furono i fondatori greci a lasciare quella eredità culinaria, le cui tracce, sono ad oggi ancora evidenti nei piatti tradizionali. Legumi, verdure, olio, cereali, formaggi, dolci con mandorle, pistacchi, sono gli ingredienti principali di ricette che confermano una forte radice greco-romana. Una cucina che rende omaggio alla tradizione contadina, rurale, più legata all’entroterra che alla costa.

 

A rievocare l’origine della cucina siceliota (greca di Sicilia) agrigentina è il lavoro storico-culinario di The Phoenicians. Nata ad Agrigento, l’associazione culturale promuove la conoscenza della vita pratica degli antichi abitanti del Mediterraneo, con particolare attenzione alla gastronomia, i sapori e le pratiche conviviali attraverso visite guidate, eventi, ricettari, rievocazioni storiche in costumi dell’epoca. Un patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e agricolo, quello racchiuso dai 1300 ettari del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, oggi valorizzato dal Progetto Diodoros. Oltre a tutelare le specie di olivi, viti, pistacchi, mandorli e delle altre varietà tradizionali della frutticoltura siciliana, il progetto sponsorizza la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica e la commercializzazione delle sue produzioni agricole, con il marchio Diodoros.

Nella ricerca del legame tra presente e passato, i piatti agrigentini più rappresentativi sono il cialdone, il cous cous dolce, il macco di fave. Il primo, di origine greca, è l’antenato del cannolo, che ricorda per la forma, la farcitura alla ricotta,  ma dall’involucro  di pasta frolla ricoperto con granella di mandorle. Il Cusu cusu duci o cous cous dolce ha chiare radici nordafricane di cui si hanno evidenze almeno dall’epoca romana anche se il luogo di nascita di questa versione dolce è il quartiere arabo-normanno di Terra Nova, ad Agrigento.

Nel monastero, fondato attorno al 1295 da Marchisia Prefolio Chiaramonte, è stata tramandata oralmente la ricetta di questa preparazione, frutto dell’incontro tra la cultura monacale e quella berbera. La ricetta originale a base di mandorle, pistacchi e canditi, è stata a lungo un segreto. Piatto simbolo del Mediterraneo e della Sicilia, il macco di fave pare che sia nato nell’antica Agrakas. Ne parla Aristofane nelle Rane, citando questa purea di fave energetica come il cibo preferito di Eracle, dio particolarmente venerato dai Dori che gli dedicarono il primo tempio monumentale di Akragas. Sono ancora gli ingredienti del Mediterraneo i protagonisti del Pitaggio, contorno a base di fave, piselli e carciofi mentre il Taganu o Tianu di Aragona, in provincia di Agrigento, è un pasticcio di pasta al forno che prende il nome dal tegame di terracotta dove veniva originariamente preparato. Dal greco kollura, che significa pagnotta, nasce la tradizione del cudduruni agrigentino, diffuso anche in altre zone della Sicilia. A metà tra pizza farcita e sfincione, il cudduruni è simbolo del cibo contadino di strada insieme alla ‘mpignulata di Grotte, una sfoglia rotonda ripiena di carne di maiale tritata, cipolla e olive.

Del passato greco non restano solo le tracce maestose della Valle dei Templi. La gloriosa cultura ellenica e la sua tradizione legata ad ingredienti come olio, cereali, legumi, grani, mandorle, rivive anche nella cucina contemporanea agrigentina. Affacciato sul tempio di Giunone, il ristorante Ambrosia del Doric eco boutique hotel, punta sulla sostenibilità ambientale e sull’utilizzo in cucina delle verdure, mandorle, olio, pistacchi della propria farm, alla quale si aggiungerà presto un vigneto con varietà reliquia. Lo chef Federico D’Affronto, racconta il crocevia multiculturale siciliano in cucina, privilegiando la qualità delle materie prime. E rende omaggio alla città e al suo territorio, con un dolce che si ispira al Telamone del tempio di Zeus, scelto come logo di Agrigento capitale della cultura 2025. 

 

Descritta numerose volte dalle pagine di Pirandello, la via Atenea è il salotto letterario della città. Il ristorante La Scala, all’interno dello storico Palazzo Grenet di fine Ottocento, è sede della cucina dello chef Vincenzo Santalucia, che, suggella il legame con il territorio e le materie prime siciliane. Sempre in via Atenea, Alessandro Ravanà riesce con il suo ristorante e Pizzeria Le Boccerie, nella sfida di valorizzare il territorio senza cedere a clichè e mode.   A due passi dal Teatro Pirandello, Osteria Expanificio, ricavato da un vecchio panificio del primo dopoguerra, porta con sé la storia e la tradizione mediterranea nei piatti. Non lontano, in via Pirandello, Terracotta continua il filone narrativo della cucina agrigentina che trae fortemente spunto dalla tradizione mediterranea.

A circa venti minuti da Agrigento, la cittadina di Raffadali condivide insieme a Bronte lo scettro di città del Pistacchio DOP, riconoscimento ottenuto nel 2021. Circondata dai monti Sicani, Raffadali si è guadagnata la scena di meta gastronomica di provincia. Del legame con il territorio ne è prova la pizzeria That’s Amore di Giuseppe Colletto, ex allievo di Antonio Starita e Gabriele Bonci. Classiche, montanarine, al vapore, al padellino, le pizze di Colletto si inseriscono perfettamente nel filone siculo- contemporaneo. Sono le rinomate materie prime agrigentine le protagoniste del menù della pizzeria Le Fontanelle del pizzaiolo Vincenzo La Porta. Oltre al citato pistacchio dop, nelle pizze troviamo presidi slow food della provincia di Agrigento come il pomodoro siccagno di Aragona, i formaggi di capra girgentana, il carciofo spinoso di Menfi. A Raffadali è legata anche la produzione dolciaria Di Stefano, che da piccolo laboratorio artigianale a conduzione familiare, ha varcato i confini dell’Isola per rappresentare nel mondo la Sicilia con panettoni, creme, colombe e marmellate, realizzate con materie prime locali e siciliane.

Altra tappa dolciaria è la pasticceria Le Cuspidi, dove le materie prime del territorio agrigentino- pistacchio, mandorla- vengono trasformati in biscotti, lievitati, creme, gelati. Non solo morbide colline e monti, al fascino del mare blu e della sabbia dorata della costa di Agrigento non ha resistito lo chef Giancarlo Perbellini. La sua Locanda Perbellini al Mare trasferisce il concetto di locanda in riva al mare, con una cucina semplice, curata e ricca di sapori e tradizioni.