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Prosciutto di San Daniele, una storia millenaria fatta di sole, sale e vento

La bellezza del San Daniele @consorziosandaniele
La bellezza del San Daniele @consorziosandaniele 
La prima invenzione di una stagionatura di cosce salate risale all'epoca preromana, otlre mille anni prima di Cristo. E dopo secoli di successo, oggi la specialità friulana ha conquistato il mondo 
3 minuti di lettura

Quella del Prosciutto di San Daniele Dop è un'avventura millenaria fatta di sole, sale e vento, in una città al centro del respiro lento tra le alpi e il mare. Il segreto che lo ha reso grande è proprio la concatenazione piuccheperfetta dei tanti elementi che la natura o il caso hanno voluto mettere nelle mani degli uomini, come un puzzle da ricomporre a partire dalla notte dei tempi. E, così, è iniziato il gioco paziente: addirittura millenni fa se, come pare, la prima invenzione di una stagionatura di cosce salate, da queste parti, risale all'epoca preromana: le indagini archeologiche condotte nella chiesa di San Daniele in Castello hanno infatti accertato che l'utilizzo dei maiali per fine alimentare datano già oltre mille anni prima della nascita di Cristo. Del resto, pure gli antichi romani di prosciutti se ne intendevano eccome: la tecnica della norcineria continua però ad affinarsi nel Medioevo, trasformando la “necessità” in gusto e “buona identità territoriale”: la necessità era dettata in primis dalla conservazione, ovvero dal riuscire a trasmettere, preservare e addirittura migliorare nei mesi a venire il frutto della macellazione invernale del maiale. Qui bisogna chiamare in causa un altro santo, Andrea, perchè – raccontano in Friuli – è nel giorno a lui dedicato, il 30 novembre, che va “il purcit su la brea”, dove con quest'ultimo termine si intende l'asse sul quale era effettuati i complessi procedimenti di selezione delle carni per ottenere, appunto, prosciutti e altri salumi.

Il maiale era un patrimonio: la famiglie contadine del tempo, potevano contare su un numero di capi di bestiame assolutamente ridotto rispetto a un allevamento moderno: uno o due per il consumo famigliare, si arrivava a cinque quando li si nutriva per poi venderli e ricavare una piccola fortuna. Inutile dire che la morte improvvisa di un maiale, per cause naturali, rappresentava un dramma e poteva mandare in rovina ben più che un'annata intera di fatica e lavoro.

I cinque mesi invernali erano il bottino prezioso di un “frigorifero naturale” che, di fatto, tutelava nelle prime fasi decisive della lavorazione del maiale. Il maiale era macellato all'alba del 30 novembre o dei giorni successivi e le sue carni subito lavorate, tranne le cosce posteriori che venivano invece preservate appese a una scala inclinata, rifilate, massaggiate e salate. La carne aveva 15/18 giorni utili per iniziare a “farsi come prosciutto”: in ogni caso, la scadenza massima per ultimare queste prime operazioni propedeutiche alla successiva maturazione, era quella del 25 dicembre. Per il giorno di Natale, infatti, tradizione voleva che i prosciutti fossero tutti appesi nelle cantine. Iniziava così la stagionatura, termine che indica nel suo stesso significato un “passaggio del tempo”: avviene così per il prosciutto, con il transito dalla stagione fredda a quella calda e il passaggio del vento dal mare alla montagna nel tramite mediano di San Daniele del Friuli, sulle colline tra le Alpi e il mar Adriatico.

Ad ogni cambio di stagione, i prosciuttai compivano un'operazione nuova sulle cosce appese: in inverno, come detto, i prosciutti venivano fatti asciugare ed essiccare attraverso il naturale processo di disidratazione. Dopo i “cento giorni freddi” dell'inverno, anche il prosciutto cominciava a sentire il primo incedere della nuova stagione di caldo: anche un bagno caldo ne attivava la fermentazione, continuando una maturazione lenta e costante che porterà la carne a diventare, per gusto e colore, un prosciutto pronto per il consumo.

Operazioni immutate per secoli di storia: che, intanto, a San Daniele corre impetuosa, anche attraverso le invasioni di quella o quell'altra potenza militare. La città diventa “mercato” appena dopo l'Anno Mille; quattro secoli più tardi, nel 1453, si ha una prima prima importante citazione nel manoscritto De Conservanda Sanitate tuttora conservato alla Biblioteca Guarneriana: in esso vi è scritto che “porci domestici si possono consumare come antipasto le parti magre conservate sotto sale”. Intanto il San Daniele fa fortuna: nel 1563 vengono portate a dorso di mulo “trenta paia di parsutti” al Concilio di Trento, dodici dei quali donati dal Patriarca di Aquileia. Piace a Vescovi e Cardinali come piacerà, due secoli abbondanti più tardi, ai soldati napoleonici che ne fecero razzia (insieme a molti libri manoscritti della Biblioteca Guarneriana).

Meno di un secolo dopo, il Friuli vè annesso al Regno d'Italia e il prosciutto diventa un gioiello spedito ovunque nelle altre corti d'Europa. Il Consorzio di tutela nasce nel 1961. Altro spartiacque importante è quello del 1984, quando è approvata la legge che consente di produrre il San Daniele non più solo in inverno, ma durante tutto il corso dell'anno. Un'anno più tardi, se ne celebra la tradizione con la prima edizione di Aria di Festa: un momento importante per la Dop che continua tuttora. Date da mettere in agenda, il 30 giugno e l'1, 2, 3 e 4 luglio. Ovviamente, nella ghiotta “terra di mezzo” di San Daniele del Friuli.