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Massimiliano Alajmo a Bologna: un alchimista Zen a suo agio nel caos

Lo chef tristellato delle Calandre, in provincia di Padova, sarà uno dei protagonisti del primo festival del Gusto
3 minuti di lettura

Quando racconti la storia di un protagonista dei nostri tempi, e risali ai suoi primi passi, spesso scatta la formula tanto imperfetta quanto elogiativa dell’enfant prodige, il ragazzo prodigio. Un’immagine che ben si adattava a Massimiliano “Max” Alajmo, dato che conquistando a soli 28 anni la terza stella Michelin, diventò il più giovane chef nella storia a ricevere il prestigioso riconoscimento. Era il 27 novembre 2002.

Massimiliano Alajmo
Massimiliano Alajmo 

Pochi mesi dopo, al termine di un viaggio nella nebbia, arrivando alle Calandre per la prima volta pensai di aver sbagliato indirizzo. All’angolo di uno stradone – via della Provvidenza (sic) – nell’hinterland di Padova, in un locale che sembrava essere stato costruito per ospitare un autosalone, si nascondeva invece quello che sarebbe diventato uno dei ristoranti più famosi nel mondo. Oggi siamo nell’Olimpo della Hit Parade…

 

Altro che enfant! Nei venti anni che ci separano da allora, Max – che marcia tranquillo verso i cinquanta - e il geniaccio inquieto del suo barbuto fratello Raffaele ‘Raf’ hanno creato non solo una tavola di sottile eleganza, e si sono allargati nella zona, aprendo un vivace bistrot – il Calandrino – e In.gredienti, negozio di prelibatezze. Macinando chilometri e chilometri, hanno poi costellato il loro percorso di una conquista di successi irresistibile: dal Quadri a Piazza San Marco allo Stern di Parigi, dal Sesamo di Marrakesh fino al recentissimo Toula’ di Cortina.

 

Il ragazzo filiforme di allora ha preso moglie, hanno avuto tre figlie, e si è trasformato in un brand, eppure sta sempre lì, nella morbida tana di Sarmeola, in mezzo ad una brigata dall’età media bassa, e non sembra granché cambiato; semmai la maturità ha fatto emergere la sua invidiabile dote di maratoneta. Un uomo pacato e pronto al sorriso, che per quanto abituato ai complimenti, quasi si schermisce, soprattutto quando gli riconosci il merito di aver intuito in tempi non sospetti la forza dirompente del pomodoro e di avergli offerto nel profondo Nord Est un palcoscenico di alto rango: indimenticabile una bombetta di datterini al basilico racchiusa in una burratina.

 

Un veneto zen naturale immerso nella realtà frenetica della ristorazione, che trova sempre la distanza giusta dalle passioni che pure vedi lampeggiare nei suoi occhi pensando a nuovi piatti e iniziative. 2022: ancora i pomodori, stavolta arrostiti con gelato di melanzane alla lavanda. E per cambiare marcia: zuppetta affumicata di alghe con polpetta di gamberi rossi, crudo di capesante e carpaccio di tonno; oppure ‘moeche’ fritte con crocchette di riso, mango e sorbetto agro-dolce piccante.

 

Essere zen significa essere capace di ascoltare le richieste e percepire gli umori degli altri e di interpretarli, colpendo il centro del bersaglio senza prendere la mira. “Nel futuro dell’alta ristorazione non vedo spazio per l’obbligo dei degustazione. Sono cuoco e ristoratore, e dato che la nostra non è un’interpretazione teatrale o la visita ad un museo, a chi viene dobbiamo offrire la massima libertà di scelta”.

Così trova soddisfazione il forestiero venuto a cercare i fondamentali della nostra cucina contemporanea, e trova pennoni di pasta ‘tutti frutti’ e faraona arrostita con tartare di ricciola; e rapidamente si convince l’italico scettico blu – “tanto dopo cena dovremo andare in pizzeria” – che divora un intero menu, dall’insalata di mare alla crostatina con le pesche.

 

Piace all’intellettuale, al foodie, piace alla ragazza titubante invitata da un lui che spera di conquistarla condividendo una cena sul tavolo di legno nudo, piace ad un gigante dalla voce stentorea che, abituato a trattare duramente partite di ferro e legname, da energumeno qui diventa tenero come un gattino, quando assaggia un primordiale osso incendiato, che nasconde una bruschetta di prezzemolo, ricci di mare e caviale.

Lo spirito del tempo. Una leggerezza interiore che si riflette nella linea dei piatti: passata l’epoca dei puri e duri, i tempi nei quali se non spingevi sull’acidità a mille eri uno sfigato, e finito l’inganno dell’umami, torniamo alla ricerca dell’Essenza, sia pure attraverso l’azzardo millimetrico di ingredienti apparentemente inconciliabili, ma che al palato donano una gioiosa sorpresa.

 

Attraverso il cristallo, mettendo il naso in cucina, eccolo Max al lavoro con la brigata mentre discutono, annusano e assaggiano la materia, la materia prima, dai cavoli alla frutta. “Distilliamo spremute vegetali”. Alchimista alle Calandre, prova una padella speciale che si è appena fatto fare per enfatizzare i profumi e gli aromi del pesce. “Noi dobbiamo guardare avanti senza distrarci e conservando la nostra dignità”. “La cucina è paragonabile ad un ago che attraversando ripetutamente piccoli fori tende un filo così sottile e resistente da renderci tutti inconsapevolmente legati”, recita l’ultimo motto della casa. Ecumenico e robusto…