Sin dalla fine degli anni Settanta, quando era uno studente, Roberto Paris ha avuto il pallino del vino, la passione dei viaggi, e una spiccata curiosità intellettuale. Sono queste le caratteristiche che anni dopo lo hanno portato a New York, dove un incontro gli ha cambiato la vita, quello con uno dei suoi amici degli anni del liceo, che aveva aperto il ristorante Il Buco a Manhattan. Lui e la sua compagna Donna Lennard, che ora è l'unica proprietaria del gruppo, gli hanno chiesto di dargli una mano a creare una bella carta dei vini, e così l’esperienza iniziata per caso come una consulenza di sei mesi si è trasformata in un’avventura che dura da 25 anni.

Un quarto di secolo che ha visto un’evoluzione enorme del settore enogastronomico, con il ruolo sempre più importante del made in Italy nella Grande Mela, di cui Paris parlerà anche a “C'è più Gusto a Bologna”, nella due giorni di Palazzo Re Enzo. “Oggi il made in Italy è un brand talmente importante che quando entri in un supermercato trovi quattro imitazioni di Parmigiano. C’è sempre più attenzione alla qualità, migliorata in modo esponenziale per tutti i prodotti italiani - racconta - E ovviamente è cambiata molto anche l’importazione”.

A New York, Paris è arrivato alla soglia dei quarant’anni, con una solida esperienza di viaggio e nel mondo del vino. Prima c’è stata una lunga formazione, forgiata da tre eventi per lui fondamentali: essere nato nell’area di Montefalco, in Umbria, e aver vissuto la zona vinicola nel momento in cui si è formata ed è esplosa, poiché operando nel settore con il suo wine bar ha potuto incontrare i produttori, visitare le cantine. Poi aver conosciuto personalmente e professionalmente Luigi Veronelli, ricordato come una delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano, e infine avere la passione dei viaggi. Quando il suo rapporto giovanile importante è finito Paris ha iniziato ad allargare i suoi confini prima a tutta l’Europa, e poi verso gli Usa e la Grande Mela. Quella con Il Buco - fondato nel 1994 e ancora oggi una vera istituzione nella metropoli, di cui lui è wine director - la definisce “una storia bellissima” che gli ha permesso di trovare “la famosa quadratura del cerchio”: “un posto dove mi sentivo a casa, nella città che amavo e che amo, in quello che allora, ma anche adesso, è il più grande mercato del vino del mondo, dove ho cominciato ad assaggiare una media di 200 etichette a settimana, ho conosciuto migliaia di produttori di tutto il mondo e almeno 500-600 produttori italiani, alcuni diventati miei grandi amici”. Un percorso importante, quindi, che gli ha permesso anche di creare delle tendenze, come quella del Sagrantino, tanto che i ristoranti del gruppo sono conosciuti come piccole ambasciate del vitigno a bacca nera autoctono dell’Umbria.

Oggi a New York l’interesse per i vini è eccezionale, tanto che Paris si dice ancora sorpreso, a volte, di quanto si riesca a generare attenzione in quello che è un mercato dinamico con un’apertura mentale incredibile. Dove spesso i clienti hanno già in testa l'idea di cosa bere, e si tratta magari di indirizzarli verso una fascia di prezzo o un’annata particolare. Per quanto riguarda i vini italiani, comunque, ci sono regioni che non hanno bisogno di promozione: “vent’anni fa la bilancia si spostava di più sulla Toscana, con il Brunello e il Supertuscan. Si vendeva anche il Piemonte, ma in scala più piccola - dice - Oggi invece il Piemonte la fa da padrone, il valore del Nebbiolo come uva nobile si è affermata nel tempo e la qualità del vino fatto in questa regione ha prodotto un certo scarto. Piemonte e Toscana insieme rappresentano circa il 40% dei consumi per i vini rossi italiani”. E poi, “il più grande cambiamento degli ultimi dieci anni è la Sicilia, in termini di qualità e quantità, soprattutto la zona dell’Etna”. Quello che invece Paris temeva di più quando è arrivato a New York era di non riuscire a ricreare quel rapporto di comunità che aveva in una città di provincia in Italia, ma si è dovuto ricredere, e a smentirlo sono stati i fatti. La sua filosofia coincide con il segreto che ha consentito a Il Buco di avere successo e di rimanere sulla cresta dell’onda per tanti anni in un luogo complesso come la Grande Mela: ossia l'attenzione costante a ogni minimo particolare, agli ingredienti, la formazione continua, e il rapporto umano con i clienti, perché in locali dove il cibo è fantastico, il design è bellissimo, ma il servizio è deludente, non si torna più.