Il suo stile si può, in uno sforzo di sintesi, riassumere con “Classicità contemporanea”, perché la costante concentrazione sui sapori che per tradizione sono nelle nostre corde, va di pari passo con la vocazione a sperimentare nuove strade e tecniche, affinché i piatti regalino sempre un impatto suggestivo.
I protagonisti del festival "C'è più Gusto a Bologna": l'idea di cucina dello chef Enrico Bartolini

Ma attenzione: per Enrico Bartolini, classe ’79, toscano di Castelmartini, “la rielaborazione non è mai necessaria se non aggiunge qualcosa in più”, convinto che la tecnica debba essere a servizio del gusto e delle emozioni, mai fine e sè stessa e autocompiacente. “Che senso ha una rivisitazione se l’originale è migliore?”

Nel mondo della gastronomia la sua firma si è distinta molto presto, già con l’apertura del primo ristorante con una cucina tutta sua, quella delle Robinie nell’Oltrepò Pavese dove a 29 anni conquista la prima stella Michelin. In precedenza c’erano state le esperienze con Paolo Petrini a Parigi, Mark Page a Londra, e Massimiliano Alajmo in Veneto. E prima ancora, l’istituto alberghiero di Montecatini Terme, scelta che fin da giovanissimo parla del suo carattere: “Da bambino uscito da scuola arrivavo a casa per ultimo e trovavo sempre la pasta scotta, perché era stata preparata per gli altri familiari che avevano già finito di pranzare. Ho deciso di fare il cuoco perché ero stufo di mangiarla così”, ricorda con il sorriso. Tra le delusioni alimentari dell’infanzia c’era anche quella domenicale: “Dopo la partita, sapevo che i miei amici avrebbero trovato a tavola una bella lasagna fumante, ad aspettare me c’erano i ravioli confezionati”. Lo racconta con ironia, tratto in comune, questo sì, con mamma Marusca: “Lei sa che racconto queste cose, non se la prende, ho il suo permesso. È una donna eccezionale e comunque negli ultimi anni si è impegnata a migliorare ai fornelli e prepara succulente carni al forno”.
La scelta fatta tra il serio e il faceto da ragazzo gli ha dato ragione ed eccolo oggi come il più stellato di sempre tra gli chef italiani. Se fosse un velocista sarebbe Marcell Jacobs, un nuotatore Michael Phelps con il loro pieno di medaglie. Se fosse un cantante sarebbe la voce dei Maneskin. Perché, amato dal pubblico e dai giudici di gara, Enrico Bartolini ha conquistato tutto (ma non per questo si ferma). Se il suo X Factor si esprime ai fornelli, il suo palco è infinitamente più vasto di quello di Sanremo e si estende dal Mudec di Milano al Glam di Venezia, da La Trattoria di Castiglione della Pescaia al Casual di Bergamo Alta, dalla Locanda del Sant’Uffizio in Monferrato al Poggiorosso di Castelnuovo Berardenga, dal Milano Verticale a Il Fuoco Sacro di San Pantaleo in Sardegna (per un totale di nove stelle attuali). Senza scordare le insegne di Hong Kong e Dubai.

Non solo cuoco, dunque, ma organizzatore, che per quanto riguarda i ristoranti ha il fiuto dell’imprenditore saggio che riesce a circondarsi dei collaboratori giusti: “Ovvio che senza una squadra a cui fare affidamento, tutto questo non sarebbe possibile” dice.
L’uomo dei record, come Re Mida, trasforma in oro ciò che tocca. Le stelle della guida rossa si erano accese per lui addirittura al ristorante Devero, di Cavenago Brianza, nonostante l’edificio non fosse né bello né in una zona felice, così piazzato sull’autostrada Milano-Bergamo: “Siamo un autogrill di lusso”, scherzava allora con la consapevolezza di chi deve il successo al talento. E poi la consacrazione nel 2020, anno della terza stella - nella 65esima edizione della guida francese – per il suo ristorante all’interno del Mudec, il Museo delle Culture, nel cuore del design district milanese. Non era più accaduto da 26 anni che Milano avesse un tristellato e il fenomeno Bartolini c’è riuscito come aveva fatto solo Gualtiero Marchesi prima di lui. Quando gli si chiede che cosa prova a pensare a tutto questo successo, esce la vera modestia che è in lui. “Certi risultati non si pianificano: certo, si ambiscono sempre, ma non si aspettano mai. Come nello sport agonistico, ci si deve allenare ogni giorno, con fatica e sacrificio, senza mai perdere di vista la visione generale, nel rispetto di una filosofia e di un’etica ben precise”.
E il lavoro per migliorare non finisce mai. Un esempio su tutti, il suo celebre risotto alle rape rosse con salsa al gorgonzola, un piatto nato nel 2008 e ancora in carta, ora però affiancato dalla parola “evoluzione” perché è bene restare legati al filo del passato, ma sempre con l’idea che tutto è perfettibile. Certo, non da solo. “Mi sento fortunato – ripete – perché sono circondato da ragazzi meravigliosi e insieme a loro sogno un sacco”.