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Carlo Cracco: "Il merito è importante, ma non è l'unica caratteristica da coltivare"

Un dialogo a tu per tu tra il vicedirettore de laStampa Andrea Malaguti e il famosissimo chef e volto televisivo, tra formazione, ricordi personali e fondamentali della cucina 
3 minuti di lettura

Qual è il motivo per cui fai questo mestiere? Questa la prima domanda, apparentemente semplice ma decisamente no data la ritrosia personale del personaggio che la riceve. A porla Andrea Malaguti, vicedirettore de la Stampa e a riceverla Carlo Cracco, chef che non è necessario presentare, tra gli ospiti di C'è Più Gusto a Bologna. "Ho scelto l'alberghiero perché era lontano da casa e si vedevano le montagne. Mi sembrava carino. Le idee erano tante, volevo fare il pasticcere, poi il cuoco". 

Festival Gusto 2022, il menu del futuro secondo Carlo Cracco

"La scuola alberghiera soprattutto all'epoca era frequentata o da lazzaroni, chi non trovava posto altrove, o da chi era del mestiere da generazioni. Il fatto di entrare in cucina il primo anno, io che non ero nemmeno mai stato al ristorante, si faceva fatica: le cucine erano piccole, si stava dentro in 80. Io non ero mai stato velocissimo, lo ammetto, e sono consapevole di averci messo più degli altri". Un racconto intimo, con una voce delicata, molto diversa da chi è abituato a vederlo in televisione. Un cenno importante al ruolo che ha avuto il padre: "Quando un mio professore non capiva molto se c'ero o meno, perché ero sempre distratto e facevo tante domande, mio padre consultandosi con la scuola, mi ha mandato a lavorare in un ristorante serio. Questo è un lavoro pratico, non c'è niente da fare. Non lo puoi imparare a livello teorico, devi imparare a capire i ritmi, a scandirli, a carpire concentrazione". Pochi mesi bastarono, solo quattro, "per creare un'altra persona". 

 

Merito, l'argomento dell'anno. Quanto conta, in generale e soprattutto dentro una cucina? "Il merito non è che sia a prescindere, va coltivato. Se ti educano a studiare, ad applicarti e hai un obiettivo, cerchi di raggiungerlo. Per cui il merito è sicuramente una dote e in quanto tale andrebbe sicuramente coltivata, ma non è l'unica". Parole dirette, ancor più per la pacatezza con cui vengono dette e per la solita estraneità alle questioni politiche del patron di Cracco in Galleria. "Ci sono molte altre cose da coltivare, io 8 come voto a scuola lo avevo solo in quello che mi interessava. Bisogna incentivare la comprensione, l'attenzione dei ragazzi". 

 

Come scegli i cuochi da mettere i tuoi ristoranti? "Il colloquio a me serve solamente per capire la cultura e l'atteggiamento personale di una persona. Sono preamboli per una persona da inserire all'interno della brigata. Sono i ragazzi che scelgono poi di lavorare con te e bisogna tirarne fuori le maggiori caratteristiche possibili". Essere un maestro quindi, ma che rapporto aveva Carlo Cracco con il suo maestro, Gualtiero Marchesi e come c'è arrivato? " Finita la scuola sono tornato al ristorante del famoso tirocinio imposto da mio padre, mi ero affezionato a quel posto e torno in maniera fissa, più strutturata". Il primo impatto, l'aiuto della sorella e poi una consapevolezza che cresce: "Soprattutto nel valutare che al di fuori di quelle mura c'era un mondo di ristoranti tutti diversi, e dovevo capire quale fosse il migliore per me, il più adatto. Fu mia sorella che mi indirizzò a quello che le sembrava più innovativo, ovvero il ristorante di Marchesi, che ho conosciuto prima a scuola e poi dopo un anno di lavoro sono riuscito ad agganciarlo e a entrare in brigata". Un'ammissione candida: "Prima di iniziare a lavorare da lui sono andato a cena come cliente, perché non ne capivo niente di quello che faceva". Tra gli insegnamenti fondamentali "la sua capacità di togliere il grasso e le strutture e rinnovare la cucina italiana prendendo un po' da ogni regione italiana. Per me è stato come cominciare da capo, cancellando o quasi tutto quello che avevo imparato a scuola. Questo è stato fondamentale per me, perché dover imparare di nuovo è un grande esercizio" e una grande opportunità.  

 


Ma quali sono le differenze tra Francia e Italia? "Sostanziale. Noi abbiamo la convinzione che l'alta cucina per chi se lo può permettere, per loro no, è una parte fondamentale della società. Per questo i premi arrivano a chi riesce a portare avanti la cucina, che è l'ultimo anello di un meccanismo economico complesso che per lo Stato francese è fondamentale, da aiutare e coltivare. Ti scontri con una corazzata enorme, perché lì tutto è impostato per la formazione, il riconoscimento e il merito. Tutto è incentrato sull'eccellenza, ma che non vuole dire difficoltà di accesso, ma un modello da seguire. Perfettibile, sicuramente, ma che consente e premia chi ce la mette tutta. Quella è la cosa più bella". E anche sulla Sovranità Alimentare, in quanto ministero, "siamo arrivati secondi, lì ce l'hanno già da circa dieci anni. Ma va bene così, l'importante è che si facciano grandi cose. Che è quello che speriamo". 

 

"Dove sceglierei di andare a mangiare? Ovunque. Da piccolino mio papà ci portava spesso il weekend in viaggio, lungo le varie regioni italiane. Per me il viaggio è rimasto fondamentale e soprattutto è l'unico vero fulcro creativo del mio lavoro: senza il viaggio, senza la contaminazione, non c'è il resto. C'è una cucina migliore e una peggiore? Si, ma non esistono assoluti", bensì la valutazione di ogni singola cucina, che sia la trattoria qui in Piazza Maggiore a Bologna, o il miglior ristorante di Copenaghen".