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La filiera: rivoluzione umana dell'agroalimentare

La filiera: rivoluzione umana dell'agroalimentare
Dal subfornitore al consumatore, un sistema in crescita, che viaggia sulla lunghezza d'onda della responsabilità individuale
4 minuti di lettura

"Fai presto a dire filiera, ma in concreto poi cos'è"? Se canticchiata questa domanda potrebbe suonare come un jingle pubblicitario e forse dovrebbe esserlo. Perché se è vero che, quasi banalmente (in apparenza) siamo ciò che mangiamo oltre che i principali imputati nel processo sulla salute del pianeta, allora non possiamo permetterci di non interessarci al codice della strada di un'alimentazione corretta (lì dove corretta significa anche etica dal punto di vista sociale e ambientale). Non possiamo evitare di studiare, comprendere e scegliere. Ecco allora che filiera, filiera corta, conferitori&Co. smettono di essere termini vuoti e diventano linee guida per un acquisto consapevole. Conoscerle significa essere consci ogni giorno che acquistare un pomodoro a un prezzo equo significa mandare a casa i caporali, promuovere la gender equality nel settore, evitare le frodi alimentari e salvaguardare la qualità di ciò che mangiamo. 

Un po' come fossimo al liceo classico in attesa di imparare la sequenza "alfa, beta, gamma...", il primo passaggio da mandare a memoria, quello da cui dipende tutto, è semplicissimo: la filiera siamo noi. O meglio, noi siamo una parte "di un processo che è come un braccialetto" spiega Chiara Faenza, responsabile Sostenibilità Coop. Vale a dire che "dal primo all'ultimo attore della filiera (suddivisa principalmente in produttori da un lato e trasformatori/distributori dall'altro) tutti fanno parte di un insieme, lavorano come una squadra e contribuiscono a far sì che un prodotto raggiunga una determinata qualità" e rispetti gli standard stabiliti dal contratto. "Un processo che funziona perché tutti lavorano come un team" ed è proprio questo, nonostante l'ovvia distanza fisica tra alcuni degli attori di filiera, che permette che l'intera catena funzioni come se l'azienda fosse una sola. Standardizzata e uniformata nel senso positivo del termine, in particolar modo nelle varianti più sensibili, "come il controllo della qualità, degli standard produttivi" e di azione nei confronti dei dipendenti. Ed è proprio la possibilità di essere, virtualmente, in ogni campo o allevamento, a far pendere la bilancia dal lato della filiera, a far evidenziare in giallo fluo questa parola nei nostri studi per una maggiore etica alimentare. "Se acquistassimo da singoli fornitori" sottolinea Faenza, "potremmo controllare la produzione limitatamente". Lì dove ci dovrebbe esserci trasparenza, arriverebbe la nebbia. "Il contratto di filiera ci permette invece una contezza diversa".

"Lavorare in filiera, così come pensare da esterni a un lavoro di questo tipo, richiede una notevole duttilità mentale. Bisogna aver ben chiaro innanzitutto che non esiste la filiera perfetta e che non si può standardizzare del tutto il processo produttivo e quello di controllo. Ogni filiera è uguale solo a sé stessa". Basti pensare al fatto che nel Sud del nostro Paese a diversa coltura corrisponde una tipologia di etnia, "i rumeni per esempio si muovono in famiglia, in blocco, e per periodi di tempo limitati". Ed è solo uno dei fattori che bisogna valutare quando si va a definire se una filiera è etica, insieme a: coltura, zona geografica, tipologia e tempistiche di raccolta. "Se si va a confrontare la produzione del pomodoro con un prodotto dell'estremo oriente, abbiamo in potenza problematicità diverse tra loro", per esempio la presenza a una delle due latitudini della piaga del lavoro minorile, "mentre in Italia è più diffuso il caporalato, il lavoro in nero" e un gender gap molto importante. "A questo punto entra in campo la valutazione del rischio, che fa la differenza. Tutto è lavorato al millimetro: il rapporto con un fornitore di pomodori, che affronta un lavoro manuale e con grande presenza di manodopera straniera, andrà valutato diversamente da quello di un agricoltore che lavora per la maggior parte con l'ausilio della meccanizzazione".
La filiera dei pomodori, con la sua manualità, avrà delle problematiche molto diverse rispetto a quelle di una produzione meccanizzata". (foto: La Buona Terra - Mostra Coop 2016)
La filiera dei pomodori, con la sua manualità, avrà delle problematiche molto diverse rispetto a quelle di una produzione meccanizzata". (foto: La Buona Terra - Mostra Coop 2016) 
In base a queste varianti, ogni anno gli agricoltori che hanno sottoscritto il contratto "presentano la valutazione di rischio, e in base a questa predisponiamo eventuali controlli a campione". Che vanno a sommarsi agli "audit fatti dagli stessi fornitori, sempre più sensibilizzati al tema ogni anno che passa". E siccome il rischio non è mai zero, "può capitare, capita, di trovare delle difformità. A questo punto ci si muove in maniera diversa a seconda del problema", con delle penalità che vanno dalla "richiesta di rientrare in careggiata, fino alla cancellazione del contratto".

E come può un lavoro del genere contrastare una delle piaghe più importanti del lavoro agricolo in Italia, il caporalato? "Innanzitutto, dobbiamo partire dalla legge. Quella che nel nostro Paese regola questa fattispecie di reato è la 199/2016, che ha introdotto alcune nuove metodologie di controllo innovative ed efficaci . Noi invece ci muoviamo all'interno della Rete del lavoro Agricolo di qualità", ovvero un database voluto dai Ministeri dell'Ambiente e delle politiche agricole e forestali, del Lavoro, dell'Economia in collaborazione con l'Inps, il cui funzionamento (attraverso l'incrocio dei dati forniti dalle aziende con quelli presenti nei vari database ministeriali) permette di attestare la regolarità contributiva e retributiva. In passato ci sono state anche alte modalità di controllo "che però non sono mai realmente decollate, come in realtà per ora anche l'iscrizione alla Rete del lavoro Agricolo di qualità".

"E' fondamentale, per prevenire il caporalato, la fidelizzazione di filiera e investire su rapporti duraturi". (foto: La Buona Terra - Mostra Coop 2016)
"E' fondamentale, per prevenire il caporalato, la fidelizzazione di filiera e investire su rapporti duraturi". (foto: La Buona Terra - Mostra Coop 2016) 
Altro impegno importante è il Piano triennale per il contrato al caporalato (2020-2022), approvato pochi giorni prima dell'inizio della crisi Covid-19, il 20 febbraio 2020, che vale 88 milioni di euro e quattro aree di intervento: prevenzione, vigilanza, contrasto e reintegro socio lavorativo. Tutte le azioni previste hanno un unico obiettivo "quello di allontanare la gestione dei caporali. E' importantissimo in questo caso non solo la conoscenza, ma soprattutto la fidelizzazione della filiera. Il basarsi su rapporti preesistenti, di medio-lungo termine" che permettono una maggiore sensibilità alle tematiche in questione. Fattori che fanno parte del "Codice etico di cui come Coop ci siamo dotati e che i nostri fornitori devono sottoscrivere contestualmente al contratto; si basa fondamentalmente sui principi della SA 8000 e comprende la lotta al lavoro minorile, al lavoro forzato obbigato, alla discriminazione di ogni genere e, ovviamente, l'attenzione a salute e sicurezza". Aspetti, questi ultimi, nel cui ambito le difformità si sono notevolmente ridotte negli ultimi anni. Una gestione capillare che copre "per quanto riguarda Coop, tutti i prodotti a marchio e nello specifico caso dell'ortofrutta, supera i vincoli di brand e "protegge" tutta quella venduta nei nostri supermercati. Dal 2016 abbiamo rilanciato l'impegno in questo senso e abbiamo già fatto oltre 1000 audit, oltre a insistere nelle interlocuzioni con gli attori della filiera e chi attorno a questa gravita, come istituzioni, Ong e associazioni varie". 

E il lavoro in filiera è un'arma importante anche nella lotta alla frode alimentare, che tra italian sounding e falsificazioni interne ai confini nazionali, è l'altro grande male dell'agroalimentare nostrano. "Gestire la filiera permette di tenere sotto controllo i vari step e riduce, così, il rischio di frode. Se viene analizzato solo il prodotto finito, vien da sé che anche nel caso in cui venisse scoperta una falsificazione, è una valutazione ex post" su cui è difficile avere il controllo. Altresì il lavoro "come quello che attuiamo noi, permette di avere un maggiore presidio". Anche nelle filiere maggiormente frodate "come accade nel caso delle uova. Noi abbiamo una certificazione di servizio di controllo (certificata da enti terzi) legata a dei requisiti di prodotto, e il mettere insieme non solo la selezione a monte dei fornitori, ma anche verifiche ispettive nei vari punti critici della filiera, verifiche analitiche (tecniche, biologiche e chimiche, ndr), il definire capitolati e disciplinari di fornitura, permette non solo di agire in corso, ma di prevenire". Perché la vera rivoluzione della filiera è proprio la possibilità "di prevenire i problemi".