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Vinitaly 2023, Giavi (Prosecco Doc): "Perché è giusto difendere le denominazioni di origine

@GettyImages
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La riforma, sul tavolo della Commissione Agricoltura dell’Europarlamento, spacca in due il mondo del vino tra pro e contro. Ma al di là delle polemiche, è importante ricordare che stiamo parlando di un baluardo a difesa di culture e tradizioni plurisecolari
2 minuti di lettura

Non ha mancato di suscitare un certo scompiglio la proposta della Commissione europea di modificare la normativa comunitaria sulle Denominazioni di Origine.
Se da un lato il mondo del food si è concentrato sui contenuti della normativa, andando ad evidenziare quelli che sono stati ritenuti dei limiti della proposta avanzata dalla Commissione, il mondo del vino si è spaccato, tra chi ritiene che il nuovo testo rappresenti un’opportunità e chi lo considera un rischio, capace di incidere negativamente su quella “specificità normativa” che, da sempre, ha in qualche modo caratterizzato il mondo del vino. Un mondo che, negli ultimi tempi, non sembra godere dei favori degli uffici di Bruxelles, sempre più sensibili al canto di quelle sirene che tendono a mettere all’indice gran parte dei prodotti che costituiscono il fondamento della tradizione e della cultura agroalimentare europea, la cui ricchezza si concentra particolarmente nei Paesi del bacino del mediterraneo. Un indice che nel tempo, ciclicamente, ha riguardato le carni rosse, i salumi e gli insaccati, gli spirits e, più di recente, il vino. 


Ed è proprio a partire da questa considerazione che molti vedono nella riforma, al momento sul tavolo della Commissione Agricoltura dell’Europarlamento, un’opportunità che potrebbe, tra l’altro, consentire alle Doc e alle Docg italiane, così come alle Aoc francesi e in generale a tutte le Indicazioni Geografiche, di affrancarsi dalle altre produzioni enologiche - con le quali condividerebbero comunque l’assetto normativo che rimarrebbe nell’ambito dell’Ocm, che già prevede norme specifiche per numerose filiere - proprio in forza di quei valori immateriali che le caratterizzano e le distinguono e che, ci si augura, possano fare la differenza.
Detta così, la questione sembra relegata a una norma tecnica di esclusivo interesse dei diversi sistemi produttivi, ma non è così! Molti, infatti, ritengono che la possibilità di entrare a far parte del “corpus normativo unico” delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche o, per usare l’acronimo anglofono più in voga, delle GI, consentirebbe ai vini a denominazione di godere di notevoli vantaggi, sotto diversi profili, non solo per i produttori ma anche per i consumatori.


Con l’introduzione dell’ “ex officio” anche per i vini, ad esempio, la riforma impatterebbe direttamente e positivamente sui consumatori. Si tratta infatti di quell’istituto normativo che prevede l’obbligo, da parte del Paese in cui si verifica una violazione della normativa sulle IG, di intervenire per far cessare l’illecito, evitando che l’acquirente finale venga tratto in errore circa le caratteristiche e l’origine del prodotto fraudolentemente offertogli. 


Cosa succederà? È tutto da vedere. Nel frattempo, mentre tutti parlano di “sostenibilità”, c’è chi sembra più interessato all’industrializzazione e, quel che è peggio, all’omologazione delle produzioni enologiche e agroalimentari, fenomeni rispetto ai quali le denominazioni d’origine potrebbero davvero costituire un baluardo a difesa di culture e tradizioni plurisecolari.