E ora la soluzione della crisi – esiti, forme e calendario – è solo nella mente di Sergio Mattarella. Che a sua volta dovrà aspettare i tempi e i modi del dibattito parlamentare che si concluderà con il voto di fiducia al governo di Giuseppe Conte. Poi c’è un’altra crisi, perfino più grave, che non è nelle mani del Capo dello Stato, ma dei mercati, delle Borse, degli investitori. Che già pensano all’Italia come a un paese contagioso, a rischio, inaffidabile.
Non è un bel momento per l’Italietta del fallimento gialloverde: il Contratto Di Maio-Salvini si è sciolto al sole d’agosto e le truppe grilline sono in rotta; l’opposizione, Pd in primis, aspetta gli esiti delle elezioni che verranno, e il bottino che ne ricaverà, per aprire il cantiere delle idee, dei progetti, delle alleanze future; in poche settimane bisognerà poi approvare una manovra finanziaria di molti miliardi le cui conseguenze ricadranno ancora una volta solo sugli italiani. Altro che riduzione delle tasse. Non resta allora che ragionare su alcuni dati di fatto. Utili se non altro a fotografare la scena sulla quale si muovono i protagonisti. Sono tre gli elementi nuovi e recenti che hanno convinto Salvini a compiere il passo a lungo rinviato, tutti e tre emersi a cavallo del via libera alla Tav.
Primo, il comportamento di Conte. Che, dopo aver detto sì alla Tav, si è invece mosso sempre più in sintonia con Di Maio, quasi leader ombra (o in pectore?) del Movimento, fino a disertare il dibattito finale in Senato: Salvini ha pensato che così sarebbe andata anche con la prossima manovra, con un premier schierato dalla parte di 5Stelle e di Tria, non dalla sua. Secondo, il ruolo del Pd. A frenare il Capitano è stato finora il sospetto che, in caso di crisi, i dem si sarebbero acconciati a un’altra maggioranza, magari solo per il tempo necessario a varare le misure concordate con Bruxelles. In lui i sospetti di un ribaltone non sono del tutto svaniti, ma ora Salvini valuta che Zingaretti non intende rischiare una spaccatura nel suo partito per un’intesa (sempre negata) con Di Maio e per un governo (tecnico?) destinato a durare poco. Terza novità, l’arrivo in Parlamento della proposta di legge costituzionale dei 5S per la riduzione dei parlamentari, riforma che non solo non piace alla Lega (e al Pd...), ma che avrebbe bloccato le Camere per altri sei mesi: troppi per chi come lui intende sfruttare l’onda del successo elettorale alle Europee. Il dado è tratto.
La scommessa: stravincere per governare da solo, o con qualche più debole alleato della destra sovranista. E va bene, se così vorranno gli italiani... I quali devono però sapere che cosa li aspetta: o la rinuncia alle mirabolanti promesse leghiste; o il rischio di uno scontro con l’Europa, non nel senso della sola signora Von der Leyen, ma dei grandi paesi-guida, che condannerebbe l’Italia all’insignificanza, alla marginalizzazione, all’isolamento. Magari in un salone dell’hotel Metropol.
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