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I video di maltrattamenti di animali selvatici sono popolarissimi sui social. Cosa possiamo fare perché non sia più così

I video di maltrattamenti di animali selvatici sono popolarissimi sui social. Cosa possiamo fare perché non sia più così
2 minuti di lettura

Undici miliardi ottocentosei milioni seicentrotrentamila duecentocinque. È il totale allucinante delle visualizzazioni ottenute sui principali social - Facebook, YouTube, TikTok e Instagram - dagli ottocentoquaranta video in cui vengono molestati degli animali selvatici “domestici” (quelli che vivono in mezzo alla natura ma che sono stati comprati o rapiti e costretti a vivere in casa come fossero cani o gatti). E parliamo solo dei primi nove mesi del 2022.

 

Questo emerge dal nuovo rapporto della Social Media Animal Cruelty Coalition, che contiene altri dati allarmanti: nel 65% dei video sono registrati esemplari di specie in pericolo, in un altro 5% di specie vulnerabili, in qualcuno addirittura specie in grave pericolo. Il numero di animali maltrattati davanti alle telecamere supera di gran lunga il migliaio.

I più bersagliati sono i primati, nello specifico i macachi, presenti nel 60% dei video. Questi mammiferi vengono tenuti come animali domestici in buona parte dell’Asia e altrove.

Nella terribile classifica dei maltrattamenti inflitti occupano i primi tre gradini del podio la tortura psicologica, l’uso degli animali come intrattenitori e la tortura fisica, che supera di poco la separazione dei cuccioli dalla propria madre.

 

A giudicare dai titoli dei video, buona parte dei molestatori (alcuni dei quali potrebbero essere in buona fede) ritiene - o vuole dare l’impressione ai motori di ricerca dei vari social - di agire per il bene degli animali, come farebbe un genitore con un figlio.

Quindi le percosse servirebbero a educare l’animale indisciplinato; e i “salvataggi”, che in realtà non sarebbero necessari se questi animali non fossero costretti a vivere in un ambiente a loro estraneo come quello domestico, sono presentati come gesti di eroismo verso creature ingenue.

 

Gli umani che hanno girato o sono protagonisti di questi video non si rendono conto o non si preoccupano della sofferenza cagionata ad animali sottratti violentemente al loro habitat naturale e costretti a vivere in condizioni per loro proibitive. Si stima che negli Stati Uniti il 75% degli animali selvatici comprati per fare gli animali domestici muoia entro il primo anno.

Dietro al numero stratosferico di visualizzazioni raggiunto da questi video - la media è superiore ai tredici milioni - c’è anche il meccanismo perverso che anima i social network. Più un contenuto è polarizzante (nel bene o nel male), più attirerà reazioni estreme (di condanna o di esaltazione), più aumenterà la sua diffusione.

L’oltraggio e l’indignazione generati dai video in cui vengono torturati gli animali contribuiscono involontariamente alla loro diffusione ben oltre la cerchia ristretta di sadici che traggono godimento dal dolore di altri esseri viventi. O dei trafficanti di fauna selvatica, che usano i video per aumentare i loro traffici (una tendenza aumentata in questi anni di pandemia e lockdown).

Poi ci sono tantissimi utenti che guardano i video in totale buona fede perché sono colpiti dalla bellezza degli animali, senza sapere che questi ultimi sono stati sottratti al loro habitat naturale. 

Che la moderazione dei contenuti sia il tallone d’Achille dei principali social network è noto da tempo. Il problema investe anche gli animali; le linee guida delle piattaforme sono vaghe e molti video che riprendono dei maltrattamenti o delle torture possono essere pubblicati senza problemi, mentre il processo per rimuoverli è spesso lungo e macchinoso.

Il benessere e in certi casi la sopravvivenza stessa degli animali selvatici passano anche per Facebook, YouTube, Instagram e TikTok. Ai singoli utenti non rimane che segnalare i video di maltrattamenti, nella malaugurata ipotesi che ci si imbatta in uno di essi, e cercare per quanto possibile di non guardarli, non commentarli, non condividerli.

Sperando che presto questi video, semplicemente, non siano più disponibili.

 

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