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Come smettere di cercare l’approvazione degli altri e vivere felici

Dare troppo peso alle opinioni di accettazione o critica ci rende miopi nei confronti di noi stessi e dei nostri sentimenti. Ecco perché è importante spezzare questa consuetudine, seguendo i consigli dell'esperta

3 minuti di lettura
Siamo disegnati per le relazioni. “Il bisogno di interazioni sociali positive è con noi da 250 milioni di anni”, conferma Matthew D. Liberman, professore di psicologia alla Ucla e autore di “Social: why our brains are wired to connect”. Quello che non sapevamo, in realtà, è che la delusione di sentirsi rifiutati genera un'emozione negativa superiore, per entità, alla soddisfazione di sentirsi accettati. Considerato che raccontarci, come hanno scoperto i ricercatori di Harvard, è un’attività altrettanto piacevole come il cibo o il sesso, è facile immaginare l’impatto dell’ostracismo sulla nostra mente. “Da un punto di vista evolutivo, piacere agli altri è l'equivalente dell'essere accettati dal branco e questo è legato a maggiori probabilità di protezione e, dunque, di sopravvivenza”, aggiunge da Bologna la dottoressa Laura Bottegoni, psicologa e psicoterapeuta (www.nuova-mente.it). A nostra insaputa, anche la biologia si muove nella stessa direzione: quando ci sentiamo esclusi dal gruppo, infatti, il midollo spinale rilascia globuli bianchi a un livello di maturazione inferiore per proteggerci meglio dai batteri, piuttosto che dai virus trasmessi dal contatto interpersonale.

La variabile del giudizio

Se le radici del bisogno di accettazione sono così profonde, per quale ragione è importante cercare di farci i conti? “Un bisogno sano e naturale di piacere è universale e legittimo, ma le cose cambiano quando si ha a che fare con una necessità “eccessiva” di approvazione”, risponde la psicologa. È il caso delle persone che censurano la propria spontaneità per ottenere consenso sociale, quelle che nel mondo anglosassone sono chiamate i “people pleaser”. Il rischio, in questi casi è di dare la precedenza a ciò che è ritenuto socialmente accettabile a discapito di se stessi e la diffusione dei social network ha complicato ulteriormente le cose: “Perché riescono a trasformare un bisogno sano in uno disfunzionale. Sentirsi al centro dell'attenzione degli altri per molte persone equivale ad avere la certezza di essere amati, di valere e di sentirsi “ok””.

Il punto, però, è che il percorso verso l’accettazione di sé non è un percorso dall’esito garantito. “In parte per via dei messaggi che la nostra società ci invia continuamente sull’importanza di essere belli, sfacciati, ricchi e giovani, ma anche perché le nostre radici giocano un ruolo consistente: il messaggio che veicola l'accettazione di sé, infatti, passa dai genitori ai figli ed è un messaggio di amore incondizionato, di valore e rispetto della persona, ma trasmetterlo è meno facile di quel che si pensi”, prosegue la psicologa. Molto spesso, infatti, l’educazione è inquinata da messaggi di altro genere, con frasi tipo: “Sei bravo se vai bene a scuola, se non disturbi, se non piangi”. “Nell’equazione ci sono anche etichette che si discostano dall'idea di accettazione. Per esempio, ci si può riferire al figlio "sbadato", usando anche un comportamento paraverbale e non verbale che ne sottolinea l'aspetto negativo e questo può generare nel bambino una rappresentazione negativa di sé che ne inficerà l’auto-accettazione”. Una volta adulti, sul bisogno di approvazione pesa anche un modo troppo critico di giudicarsi: “Se la famiglia, per prima, non riesce a far sentire i figli accettati è come se insegnasse loro ad avere uno sguardo severo nei riguardi di se stessi. Una volta in cui la voce genitoriale critica è introiettata, diventa il nostro dialogo interno”.
 

Rimettersi al centro

Agire sulla base dell’approvazione sociale, dunque, ci rende meno capaci di ascoltare noi stessi. “Magari rimaniamo in grado di riconosce i nostri desideri, scopi e bisogni, ma non sappiamo come perseguirli e soddisfarli. Nei casi più gravi, invece, avendo uno scarso accesso alle nostre emozioni, perdiamo di vista i nostri desideri e i nostri bisogni”, osserva Bottegoni. Nel conto, in realtà, entra anche la capacità di prendere le distanze da canoni sociali che non rispecchiano la nostra identità: “Ci vuole il coraggio di accettare la disapprovazione di qualcuno" ammette la psicologa.

"Per contro, la consapevolezza che non sono i giudizi altrui a determinare il nostro valore o la nostra amabilità fornisce in molti casi il coraggio per affrontare la disapprovazione. Non è raro, infatti, che percorsi di cura di sé inizino proprio quando ci si imbatte in una difficoltà importante come una disfatta sociale”. Da dove si può cominciare a ricostruire un rapporto più sano con se stessi e, dunque, con gli altri e le loro opinioni? “Dalle emozioni. Sono la guida più semplice e basilare che ci dice chi siamo, cosa ci piace, cosa non ci piace, cosa ci fa stare bene oppure no”. Essendo abituati a guardare fuori, cioè a monitorare quella società da cui può provenire accettazione o critica, diventiamo miopi nei confronti del 'dentro', non riusciamo più a vedere chi siamo. “Quando ci rendiamo conto, invece, che i nostri pensieri sono giudicanti o comunque irrazionali (esempio: "Sono brutta perché nessuno ha messo un like al mio selfie"), poniamoci delle semplici domande: Da dove arriva questo pensiero? Quando e da chi ho imparato a pensare in questo modo?”.

Anche nutrire i propri interessi invece di avallare relazioni incentrate su una falsa versione di sé, aiuta a rimettere le cose in prospettiva: “Considerare l'opinione altrui come qualcosa che può far piacere, ma che non stabilisce né chi siamo né il nostro valore, ci dà maggior equilibrio psicologico, maggiore libertà di espressione e, in fin dei conti, maggiore possibilità di creare relazioni vere e spontanee”, conclude la psicologa.