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Ho girato il mondo gratis: la vita da inviato in un libro

Il libro di Enrico Franceschini
Il libro di Enrico Franceschini 
Èbun racconto interessante e divertente quello del collega Enrico Franceschini, che dopo 40 anni spesi in veste di inviato e corrispondente per Repubblica ha deciso di raccogliere tanti aneddoti e tutti gli incontri in un divertente libro, dalla strana serata con Federico Fellini all'amicizia con un giovane barista newyorkese che sognava di fare l'attore e diventò... Bruce Willis
2 minuti di lettura

Girare il mondo gratis: c'è solo una cosa che può suscitare più invidia, ovvero girare il mondo pagato per farlo. Viaggiare e vivere all'estero per restituire la tua esperienza, di giorno in giorno, ai lettori della testata per la quale lavori come giornalista. È un racconto interessante e divertente quello del collega Enrico Franceschini che dopo 40 anni spesi in veste di inviato e corrispondente per Repubblica ha deciso di raccogliere gli aneddoti e gli incontri in un divertente libro: Come girare il mondo gratis. Sottotitolo: Un giornalista con la valigia (Baldini e Castoldi, 18 euro).
Franceschini oggi vive a Londra e oltre a fare il giornalista scrive libri gialli ambientati nella sua terra di origine, la Romagna. Ma negli anni ha vissuto per ogni dove: dagli Stati Uniti alla Russia, dal Medio Oriente all'Europa, passando per Centroamerica, Afghanistan, Cina, Giappone e Nordafrica, e ha scritto di qualsiasi tema, dalle elezioni ai terremoti, delle Olimpiadi ai colpi di Stato. Ha trascorso notti in compagnia di Federico Fellini e ha cenato in frac a Buckingham Palace, sommando un bagaglio di esperienze da vendere a chi, oggi, sogna di fare l'inviato.

Tre continenti, cinque capitali, 20 traslochi: scommetto che non hai pari nell'impacchettamento delle tue cose. Il ricordo più divertente che hai, in merito ai trasferimenti?
"A Tel Aviv avevo in casa un po' di copie di quadri di Van Gogh. I traslocatori si misero a guardarli dandosi di gomito, convinti che fossero autentici. Dovetti fare uno sforzo per convincerli che erano copie, altrimenti temevo che il mio trasloco non sarebbe mai arrivato a destinazione a Londra e che, per prendersi i quadri, qualcuno avrebbe portato via tutto".

Raccontaci di quando un giovane Bruce Willis ti servì il caffè in un bar di Hell's Kitchen.
"Abitavo nella Cucina dell'Inferno, quartiere portoricano di midtown Manhattan, perché era l'unico dove potevo permettermi una stanza. Ma all'angolo feci amicizia con un barista che mi faceva il caffè, poi me ne serviva un secondo gratis. Il suo sogno era diventare un attore, mi invitò ad andarlo vedere recitare in un teatrino Off-Broadway. Un giorno scomparve. I suoi colleghi mi dissero che aveva ottenuto un contratto a Hollywood. Purtroppo non ho mai più avuto occasione di rincontrarlo e dirgli: Bruce, da giovane mi facevo fare il caffè da una futura stella del cinema".

Da Fellini a Trump, ne hai incontrati tanti. Qual è il personaggio che ti ha aperto gli occhi su qualcosa di speciale?
"Neil Armstrong, perché pur essendo stato il primo uomo sulla Luna mi fece capire l'importanza di tenere i piedi per terra. Gli chiesi dove aveva preso l'ispirazione per la celebre frase pronunciata appena sceso dalla scaletta sul suolo lunare, 'un piccolo passo per l'uomo, un grande balzo per l'umanità', rispose che gli era venuta in mente mentre scendeva i gradini della scaletta, perché fino a un attimo prima la navicella aveva il 50 per cento di possibilità di sfracellarsi e aveva altro a cui pensare".

Dopo 40 anni di viaggio, dov'è 'casa'?
"Con una  battuta, nella mia valigia: il posto in cui mi sento meglio è in viaggio. Più seriamente, oggi casa è Londra e l'Italia è l'amore occasionale, proibito, impossibile da trasformare in una relazione stabile, ma proprio per questo sempre desiderato". 

E la famiglia, è sparsa per il mondo?
"No, quella me la tengo a Londra: mia moglie, la terza, mio figlio, l'unico che ho, e le due figlie di mia moglie". 

Qualcosa che ti è sempre mancata, vivendo all'estero, e quella cui non rinunceresti mai.
"Mi è sempre mancata l'atmosfera della piccola città, il ritrovarsi con gli amici al bar senza bisogno di darsi appuntamento. E non rinuncerei all'opposto esatto del bar di provincia: l'imprevisto della grande metropoli, la curiosità di incontrare sempre facce nuove. Due sentimenti contradditori, ma le contraddizioni sono il sale della vita".

Il consiglio che daresti a chi voglia fare l'inviato oggi?
"Fare la stessa cosa che feci io a 24 anni partendo senza neanche un contratto per New York, ma per andare in un posto diverso: a New York, come a Parigi o Londra, di giornalisti italiani oggi ce ne sono tantissimi. Ma ci sono tre interi continenti che saranno cruciali nel ventunesimo secolo, Asia, Africa, America Latina, pieni di notizie, semivuoti di giornalisti italiani. Oggi io proverei a fare l'inviato lì".