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Storie

Hollywood racconta Hollywood. Una storia da Oscar raccontata dai suoi protagonisti

Steven Spielberg mentre studia il set di I predatori dell’Arca perduta (1981). Foto Getty Images
Steven Spielberg mentre studia il set di I predatori dell’Arca perduta (1981). Foto Getty Images 
In un libro la storia centenaria degli Studios attraverso le voci di attori e registi. Un'incredibile conversazione virtuale per raccontare la più bella delle storie
3 minuti di lettura

Immaginate di assistere a un’affollata riunione su Zoom, tema del giorno Hollywood, e tra i partecipanti ci sono Fritz Lang e Howard Hawks, Katharine Hepburn e Quentin Tarantino, Jane Fonda e David Lynch che parlano del loro lavoro, del sistema, di soldi, copioni, costumi, suoni. George Lucas spiega che fare un film significa «avere a che fare con il più grande gruppo di tizi psicotici nevrotici complicati che si possa mai immaginare».
Billy Wilder ricorda quando, nel 1924, Erich von Stroheim aveva bloccato le riprese di Greed «per tre giorni, perché non c’era abbastanza cacca di cavallo e dovettero andare a raccattarla ovunque». Non c’era neanche l’aria condizionata «e tutte le amenità che oggi invece ci sono negli Studios», rammenta Fay Wray, la diva bionda del primo King Kong. Gary Rydstrom, sound designer di Jurassic Park, confessa che il ringhio del T-Rex appartiene al suo cane Buster. E Frank Capra racconta che lui nella vita aveva altri piani, per la precisione fare l’ingegnere; ma poi, da disoccupato, si era messo a scrivere battute e didascalie per il cinema muto. Lo faceva ridere che lo pagassero per questo, ma è così che poi è arrivato a fare La vita è meravigliosa. 

George Lucas e Jake Lloyd con C-3PO in Star Wars: Episodio I (1999). Foto di Lucas Film/Shutterstock
George Lucas e Jake Lloyd con C-3PO in Star Wars: Episodio I (1999). Foto di Lucas Film/Shutterstock 

Quella che sembra un’unica, lunga e incredibile conversazione virtuale fra registi, produttori, attrici, attori, cameramen, produttori, addetti al suono, al makeup, montatori, scenografi – di oggi come di un secolo fa – è in realtà un libro di 910 pagine, Hollywood: The Oral History (HarperCollins), uscito negli Usa a firma Jeanine Basinger e Sam Wasson. Lei, a 87 anni, è una celebrata storica, fondatrice del dipartimento di studi sul cinema della Wesleyan University; lui, parecchio più giovane, è uno scrittore, autore della biografia di Bob Fosse. Hanno avuto un privilegio unico: accedere all’archivio delle registrazioni dell’American Film Institute (Afi), memoria vivente del cinema.
«Nel 1969», spiega Wasson al telefono da Los Angeles, «l’Afi ha inaugurato una serie di seminari per gli studenti con professionisti di ogni genere. Abbiamo ascoltato e selezionato qualcosa come 4mila ore di registrazioni su 10mila. Sono in sostanza la storia di Hollywood raccontata da chi l’ha fatta». «Spesso ci si dimentica che il cinema è stato inventato nel 1895», aggiunge Jeanine Basinger, «all’epoca nessuno pianificava di farsi una carriera nel cinema, semplicemente perché ancora non esisteva. Lucille Ball racconta che era arrivata da una piccola città di provincia per lavorare nel vaudeville. A quei tempi i soldi erano pochi, la gente non viaggiava come ora; lei sognava il vaudeville perché era quello che arrivava nel suo paesino. Ed è finita sul suo primo set solo perché una donna che lavorava per Sam Goldwyn l’ha incontrata per strada, cercavano disperatamente una showgirl disposta a girare in sei settimane una commedia. Avesse fatto un provino forse non l’avrebbero presa. Interessante, vero? Viene fuori un’immagine molto diversa dal mito». 

Martin Scorsese e Robert De Niro girano Taxi Driver (1975). Foto Getty Images
Martin Scorsese e Robert De Niro girano Taxi Driver (1975). Foto Getty Images 

Niente a che vedere con Babylon di Damien Chazelle, candidato a tre Oscar (scenografia, costumi, colonna sonora). «Un film sbagliato, tre ore sprecate della mia vita», taglia corto Basinger. «Nella narrazione di Hollywood sesso, droghe, scandali – che, sì, c’erano – non erano dominanti. Altrimenti non si capisce come avrebbero fatto a produrre tutti quei magnifici film. Era gente che la mattina doveva alzarsi, prendere l’auto, andare agli Studios, lavorare e tornare a casa. Non erano che dipendenti delle grandi case di produzione. Avevano il potere di spingere un film, ma non erano loro a comandare». Erano una comunità, «e se avevi delle capacità, che fosse la fotografia o costruire mobili finti, potevi guadagnare bene ed essere trattato con rispetto». La figura più sottovalutata, secondo Wasson è il tecnico del suono, «non il più glam ma essenziale», seguito dal montatore, «richiede uno straordinario talento per lo storytelling e nel saper tagliare il girato». È questa la parte più avvincente del libro, il modo in cui Basinger e Wasson mettono al centro le persone, i tanti talenti individuali, finendo col demistificare diverse leggende. Li ha sorpresi scoprire, per esempio, che Joan Crawford era tutto meno che la “mammina cara” che pensiamo. «Più di un regista afferma che era una star, una professionista disciplinata, gentile, rispettosa. Ci credereste? Mi ha stupito scoprire che avevo idee sbagliate su diverse persone». Chi non era per niente amata era Marilyn Monroe. «Hollywood era un sistema guidato dal profitto, dall’efficienza, dalla collaborazione, e Marilyn era un problema», aggiunge Basinger. «Non funzionava sotto stress, richiedeva attenzioni; noi oggi vediamo la figura tragica, loro un’attrice superpagata e inaffidabile. Billy Wilder dice una cosa memorabile: “Credo siano stati scritti più libri su Marilyn che sulla Seconda guerra mondiale. Ma c’è una grande similitudine fra le due”».
Dai racconti viene fuori però quanto si divertissero, quanto potente fosse la parte creativa, la pazzia. «La Hollywood degli anni d’oro per me si riassume in tre parole: fun, flexibility e family. Si divertivano, sapevano adattarsi e funzionavano come una famiglia. Oggi non è rimasto niente. Hollywood è finita da un pezzo», dice Wasson. Il film che meglio l’ha raccontata? «Il bruto e la bella di Vincent Minnelli, con Lana Turner e Kirk Douglas» conclude Basinger. «Nella storia del produttore che non si arrende c’è tutto, il desiderio di grandezza, l’ossessione, la potenza visionaria del cinema».