Per gli inglesi è più facile. Hanno due parole per parlare di solitudine. «Alone, che indica lo stare da soli, senza accezioni negative e riferimenti a privazioni o infelicità. E poi loneliness, termine più moderno, risalente al 1800, che riferendosi alle emozioni connesse a una specifica situazione, evoca una semantica di pena e sofferenza». A parlare è Fay Bound Alberti, scrittrice e storica inglese che di solitudine se ne intende. Nel 2019, prima quindi dei vari lockdown in cui l’argomento è diventato di stretta attualità, il suo saggio
A Biography of Loneliness (Oxford University Press), ha fatto il giro del mondo e, da allora, quando si vuole approfondire il tema, lei è l’esperta in materia. Oggi che, parlando di benessere, sembra che tutto ruoti attorno al tempo che si riesce a ritagliare per se stessi, la solitudine torna a essere un argomento sul quale riflettere.
«Essere capaci, emotivamente e fisicamente, di stare da soli è un’importante espressione di indipendenza, di maturità. È un’opportunità per comprendere che tipo di relazioni vogliamo instaurare nella vita», continua la storica, «ed è anche un’emozione strettamente collegata alla creatività. È solo quando si protrae per lunghi periodi e non è deliberatamente voluta che diventa una condizione di infelicità».
Headspace è stata
scaricata da 70
milioni di persone
in 190 Paesi: promette
di ridurre il livello
di stress in 10 giorni
In tutti gli altri casi, quindi, stare da soli può avere svariati risvolti positivi. Ed essere, per esempio, l’occasione giusta per dedicarsi a discipline introspettive, come la meditazione, la mindfulness e alcune tipologie di yoga più spirituali e meno dinamiche che stanno riscontrando sempre maggiori consensi. Soprattutto quando, con app e podcast, è possibile praticarle in solitaria, nell’intimità del contesto casalingo.
Meryl Arnett, insegnante di meditazione basata ad Atlanta e autrice di The Mindful minute, uno dei 5 podcast sul tema più scaricati nel 2022, dice che «la meditazione è un ottimo strumento sia per trovare nuovi modi di sviluppare il pensiero, sia per aumentare le capacità di tolleranza al disagio: le due cose, unite, permettono di imparare a trovare soluzioni sagge anche nelle situazioni più difficili». E tutto questo si apprende ascoltando il suo podcast. «Per molte persone è più facile lasciarsi andare seguendo una meditazione guidata già registrata perché, nel caso in cui si perda la concentrazione, possono risentire qualsiasi passaggio». I benefici della pratica si notano «dedicando 10 minuti al giorno per 8 settimane consecutive. Così si riducono l’iper reattività e il sovraccarico emotivo. Il mio consiglio è iniziare con 3 minuti, cercando di aumentare gradualmente ogni volta. Contano la costanza e l’intenzione».

Che sia un momento d’oro per i podcast di crescita personale lo dimostrano non solo la smisurata quantità di file audio specifici presenti su ogni piattaforma, ma il fatto che perfino un’istituzione museale come The Robin Museum of Art di New York proponga podcast settimanali di meditazione ispirati ogni volta a un’opera d’arte diversa e guidati dagli insegnanti più qualificati. Successo analogo lo stanno registrando le app che consentono di ritirarsi in una sessione di meditazione in qualsiasi contesto. Calm, per esempio, con i suoi 100 milioni di iscritti e 1,5 milioni di recensioni a cinque stelle è, secondo il New York Times, indicata per chi di mindfulness già se ne intende e mira a migliorare le capacità di introspezione. Una delle più apprezzate è, invece, Headspace – 70 milioni di download in oltre 190 Paesi – che, fondata a Londra nel maggio 2010 da un ex monaco buddista e da uno specialista di marketing, è facile, intuitiva e promette di «ridurre il livello di stress del 14% in 10 giorni», dando istruzioni su come rilassarsi, dormire meglio, trovare il giusto balance tra vita e lavoro e imparare ad amarsi.
Amarsi di più, concedendo parte del me time all’auto-erotismo, è un altro tema che il valore della solitudine sta mettendo in luce. Secondo uno studio di Astraricerche per Lelo (leader mondiale nella produzione di sex toys con 20 anni di attività alle spalle) 4 italiani su 10 si dichiarano propensi a utilizzare dei device. «La pandemia ha rafforzato il trend, favorito anche dalla facilità di reperibilità di questi oggetti online, dal design avvincente e da un marketing che ne ha sdoganato l’uso. Trent’anni fa si parlava solo di vibratori e per comprarli bisognava scovare negozi nascosti e poco frequentati», sostiene Roberta Rossi, sessuologa e psicoterapeuta. «L’aspetto più importante, però, è la consapevolezza che queste abitudini siano, in quanto attività sessuali vere e proprie, una fonte salutogenica di benessere psico-fisico che coinvolge muscoli, respirazione, circolazione sanguigna, endorfine e dopamina». È, in sintesi, il piacere di stare da soli.