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Megan Rapinoe, 36 anni, centrocampista dell’OL Reign e della nazionale statunitense, è al centro del doc LFG. Let’s Fucking Go!, disponibile su Now. Foto Getty
Megan Rapinoe, 36 anni, centrocampista dell’OL Reign e della nazionale statunitense, è al centro del doc LFG. Let’s Fucking Go!, disponibile su Now. Foto Getty 

Megan Rapinoe, la capitana che combatte contro il gender gap nel calcio

La stella del calcio americano Megan Rapinoe, capitana sia della società OL Reign FC della National Women’s Soccer League sia della squadra nazionale statunitense, è anche una leader della lotta al gender gap e delle battaglie in difesa dei diritti civili e delle donne

2 minuti di lettura

Che tu sia la dirigente di una grande azienda multinazionale o che tu faccia la cameriera in un bar, che tu sia un’impiegata di banca o faccia la calciatrice professionista, non c’è nessuna differenza: guadagnerai di sicuro meno di un collega maschio. Mi verrebbe proprio da dire che, rispetto agli uomini, la disparità salariale per le donne è davvero democratica, o meglio... “inclusiva”, volendo utilizzare un termine tanto alla moda, perché penalizza gli stipendi di tutte le lavoratici, di ogni categoria e di qualsiasi gradino sociale». 
A parlare è la stella del calcio americano Megan Rapinoe, capitana sia della società OL Reign FC della National Women’s Soccer League (Nwsl), sia della squadra nazionale statunitense. Ed è anche una leader della lotta al gender gap e delle battaglie in difesa dei diritti civili e delle donne. L’ultima che ha vinto, insieme alle colleghe della squadra nazionale di calcio Usa, è anche raccontata nel documentario, diretto da Andrea Nix Fine e dal marito Sean, LFG. Let’s Fucking Go (andato in onda su Sky Documentaries ora disponibile in streaming su Now), un pezzo di storia al femminile (e di class action sportive) che si è conclusa con un lieto fine lo scorso febbraio. Ma meglio partire dall’inizio.
Nata nel 1985 a Redding, capoluogo della contea di Shasta in California, origini irlandesi e italiane (il cognome deriverebbe da “Rapino”), Megan è una che come attivista riesce a fare squadra anche fuori dal campo. Lo scorso febbraio, insieme alle colleghe della nazionale, ha ottenuto una vittoria che vale come una coppa del mondo. Perché servirà come esempio anche fuori dagli Stati Uniti e, cosa ancora più importante, fuori dai campi e dagli stadi: i 24 milioni di dollari che la United States Soccer Federation dovrà versare come risarcimento a tutte le giocatrici di calcio iscritte alla federazione. È la prima grande class action vinta dalle professioniste dello sport, quella raccontata nel documentario. 

«Di certo non abbiamo intentato questa causa per il denaro, ma per trasmettere un messaggio preciso alle generazioni future», ci dice Rapinoe. «Un documentario come questo credo possa aprire gli occhi anche ai non addetti ai lavori, mostrando molte ingiustizie: è importante che lo guardino soprattutto gli uomini e anche le bambine del presemte, che saranno le lavoratrici del futuro. A loro dico: “Sappiate che io guadagno molto meno di un collega maschio, ma per voi sarà diverso”». 


Tutto è cominciato il 10 Luglio del 1999, quando nell’assiepato Rose Bowl di Pasadena in California, la squadra femminile statunitense vince ai rigori il mondiale contro la Cina. La gioia di 90mila fan scuote lo stadio, quella di 40 milioni di spettatori l’audience mondiale. La nazionale di Brandi Chastain, Julie Foudy e Mia Hamm vince non solo il secondo mondiale, ma crea una nuova febbre per uno sport che, negli Stati Uniti, mai aveva trovato tanto pubblico, né soprattutto sponsor. Tra le ragazzine che sognano di riprodurre quel momento magico, ci sono le future campionesse: Alex Morgan e, appunto, Megan Rapinoe. 
Dieci anni dopo, nonostante le calciatrici abbiano raggiunto dei traguardi irraggiungibili per la controparte maschile – 4 mondiali e 4 ori alle Olimpiadi – le giocatrici guadagnano 89 centesimi rispetto a un dollaro degli uomini che generano meno introiti e vengono pagati il doppio nelle prestazioni ai mondiali (questo nonostante la squadra maschile non abbia mai vinto).


A marzo 2021, tre mesi prima del mondiale, le 28 ragazze della squadra femminile fanno causa alla United States Soccer Federation, la Federazione calcistica degli Stati Uniti: l’accusa è discriminazione di genere. Due le aree su cui si concentrano gli inquirenti nel trovare le disparità: le condizioni di lavoro e la retribuzione. Tre mesi dopo, nel Paese viene trasmesso il documentario LFG dei coniugi Fine, la coppia di filmmaker vincitrice di Emmy e Oscar, che hanno proposto a Rapinoe il progetto. Attraverso le parole delle leader del gruppo – oltre alla centrocampista e capitana, anche Jess McDonald, Sam Mewis, Kelley O’Hara, Christen Press e Becky Sauerbrunn – il documentario intreccia vari aspetti anche privati della vita delle sportive, rivelando i sacrifici e l’ostinazione di professioniste dello sport diventate un simbolo. Come è accaduto a Jess McDonald, che nei primi anni di carriera nella National Women’s Soccer League, guadagnava solamente 15mila dollari l’anno e che, per sostenere la propria famiglia, arrotondava con un secondo lavoro: magazziniera di Amazon.