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Giacomo Ferrara, attore abruzzese, 33 anni. Noto al grande pubblico per il ruolo di Spadino nella serie tv Suburra. Foto di Giulia Brighi  
Giacomo Ferrara, attore abruzzese, 33 anni. Noto al grande pubblico per il ruolo di Spadino nella serie tv Suburra. Foto di Giulia Brighi   
Incontri

Giacomo Ferrara: “Spadino” tra Suburra, carcere e teatro

L'amatissimo interprete della serie tv è nelle sale con Grazie ragazzi di Riccardo Milani, nel quale interpreta il detenuto Aziz: "non posso e non devo giudicare i miei personaggi, ma solo capirli"

2 minuti di lettura

Dopo la sua interpretazione di Spadino in Suburra, il New York Times scrisse che Giacomo Ferrara aveva dato una prova: “Indimenticabile, come quella di Robert De Niro in Taxi Driver”. Ma, nonostante un simile (e ardito paragone), l’attore nato a Chieti 33 anni fa (in curriculum film per cinema e tv come Non mi uccidere, Ghiaccio, Alfredino-Una storia italiana) non ha cambiato la percezione di sé: «Ho solo capito che con quel personaggio avevo fatto centro, ma la mia vita non è stata rivoluzionata. Certo De Niro è un mostro sacro, di fronte a lui io resto piccolo, per questo però continuo a studiare e a dedicarmi con passione ai personaggi che interpreto», racconta a d dal set blindato del reboot proprio di Suburra. Immergersi nel suolo è quello che accade a Giacomo anche in Grazie ragazzi di Riccardo Milani, in questi giorni nelle sale, dove Ferrara interpreta il detenuto Aziz, che partecipando a un laboratorio teatrale diretto da Antonio (ovvero: Antonio Albanese) scopre che l’arte porta la libertà anche lì dove ci sono le gabbie. 

Una scena di Grazie ragazzi, con Giacomo Ferrara e Antonio Albanese, per la regia di Riccardo Milani,  in questi giorni nei cinema italiani. Foto di Toby Butler
Una scena di Grazie ragazzi, con Giacomo Ferrara e Antonio Albanese, per la regia di Riccardo Milani,  in questi giorni nei cinema italiani. Foto di Toby Butler 

Un film che racconta un’esperienza reale in molte carceri italiane. 
«Assolutamente. Il teatro unisce, la recitazione è una terapia. Aziz è un ragazzo di origine libica che è arrivato in Italia con la madre su una nave, quando aveva solo pochi mesi. È cresciuto qui, parla romano, ma si è sempre sentito estraneo a tutto e tutti. E così ha cercato di colmare quest’insicurezza, anche all’interno del carcere, provando a essere il più bravo, il più educato, per integrarsi il più possibile, dimenticandosi però alla fine di se stesso. L’incontro con il teatro, la recitazione, il rapporto con Antonio, lo aiutano a sentirsi più sicuro e a ritrovare la sua identità».

Lei interpreta, ancora una volta, un personaggio ai bordi della società?
«Non penso mai a questo, perché non posso e non devo giudicare il mio personaggio, ma solo capirlo. E anche se molti dei ruoli che mi propongono sono ragazzi di borgata, sono cattivi o hanno avuto esperienze difficili, cerco sempre di differenziarli con diversi modi di parlare, di muoversi, ci tengo tantissimo in questo. Lavoro con il mio acting coach, Alessandro Prete, al quale devo tutto quello che so di questo mestiere. Con lui mi impegno in modo ininterrotto, per cercare di diventare un attore migliore di quello che sono. Voglio sempre superare un’altra asticella, non mi basta mai».

Suburra, oltre al successo, le ha donato una grande amicizia con un collega, cosa non sempre scontata, Alessandro Borghi. 
«È vero, ci vogliamo molto bene. Suburra ha portato fortuna a entrambi, da lì è partita la nostra carriera e quindi ci ha uniti in un legame forte, lo stesso che c’è fra i nostri due personaggi, che prima si odiano e poi diventano amici. Volete sapere se è una cosa bella? Certo, Ma non accade spesso sul set. Anzi, è molto raro. Certo, quando si gira un film e si condividono ore e ore, notte e giorni così a lungo è inevitabile che si creino dei rapporti anche intensi. Che poi però, finita la lavorazione, si perdono. E ognuno va per la propria strada. Io e Alessandro, invece, non ci siamo persi. Forse perché siamo simili, entrambi ci siamo fatti da soli, siamo legati alle nostre famiglie e a certi valori e, anche se il lavoro ci porta lontani, siamo sempre più uniti».

Dopo tanti lavori ricorda ancora quando ha deciso (o capito) che sarebbe diventato un attore e questa sarebbe stata la sua vita?
«Già da piccolo. Sono nato e cresciuto sui monti abruzzesi, sulla Maiella, dove la mia famiglia ha prima costruito e poi gestito un hotel e dove spesso c’erano degli spettacoli di cabaret per intrattenere i clienti. Già a otto anni io partecipavo attivamente a quegli spettacoli e salendo su quel palco avevo capito che da lì non avrei mai più voluto scendere. Così ho frequentato un liceo a Chieti, dove si studiavano anche cinema e teatro e poi a 18 anni sono venuto a Roma per iscrivermi all’accademia Corrado Pani. Facevo il cameriere per permettermi di studiare, ma questo non mi è davvero mai pesato. In questa città immensa ho dovuto crescere in fretta, imparare a cavarmela da solo, ho fatto tantissime esperienze. Oggi penso di essere molto fortunato».