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Storie

Nan Goldin "Ho profondamente amato le persone che ho ritratto"

Nan Goldin al 79esimo Film Festival di Venezia
Nan Goldin al 79esimo Film Festival di Venezia 
Una grande mostra, un film sulle sue battaglie: la fotografa che più ha avuto impatto sulla fotografia contemporanea e sul modo in cui oggi ci raccontiamo, si racconta a d
4 minuti di lettura

Nan Goldin è l’artista che più ha avuto impatto sulla fotografia contemporanea e sul modo in cui oggi ci raccontiamo. Lo stesso mondo in presa diretta di Instagram nasce dalle esperienze radicali che l’autrice americana praticava già agli inizi degli anni 70. Non ci sarebbero oggi né selfie né racconti intimi senza la sua coraggiosa sperimentazione. Il linguaggio diaristico, diretto e trasparente, quel suo esporsi in prima persona, fotografandosi insieme ai suoi affetti, tra gioia e dolore, amori e perdite, sono la più profonda premessa alla moderna cultura della condivisione.
L’autenticità di Goldin è però irripetibile. Qualsiasi immagine contemporanea che utilizza gli stessi codici, appare, al confronto, debole o edulcorata. Le sue fotografie, infatti, oltre a possedere un valore universale capace di comunicare allora come oggi, hanno anche una forza legata al momento storico in cui sono nate. Si tratta di scatti rivoluzionari che sono riusciti a minare le convenzioni attraverso cui era lecito parlare di noi stessi, affrontando questioni duramente stigmatizzate come il suicidio, il genere sessuale, la dipendenza da sostanze, la malattia. Senza alcuna protezione Nan Goldin ha offerto se stessa, rischiando tutto, per desiderio di comunicare, creare empatia e lenire il senso di solitudine che ci contraddistingue come esseri umani. Oggi una grande retrospettiva, This Will Not End Well (al Moderna Museet di Stoccolma fino al 26 febbraio, poi girerà l’Europa per arrivare nel 2025 all’Hangar Bicocca di Milano), ne celebra il lavoro. Dopo che il film ispirato alla sua storia, Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras ha vinto il Leone d’oro all’ultimo Festival di Venezia.

Immagini tratte da Tutta la bellezza e il dolore, il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Immagini tratte da Tutta la bellezza e il dolore, il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. 

La sua ricerca non si è mai incentrata solo su se stessa, ma ha raccontato le comunità di cui faceva parte. Ce ne può parlare?
«Fotografando la vita privata dei miei amici sentivo l’urgenza di mostrare anche me stessa, fare le stesse cose, includermi e non tenermi fuori da ciò che raccontavo. Il mio lavoro non riguarda solo me, ma una comunità più vasta, tanti si ritrovano nei miei scatti. Voglio toccare profondamente chi guarda: farlo piangere, ridere. Dare la possibilità di vivere, attraverso il mio lavoro, cosa significhino dipendenza o depressione, per portare a una commozione anche fisica. Un’esperienza condivisa».

Per enfatizzare quest’immedesimazione nei primi anni 70 lei ha codificato un suo linguaggio: le slideshows. Sequenze di foto, accompagnate da musica o suoni, come una poesia in movimento...
«Sono la parte più importante del mio lavoro. Sono film composti da istantanee che riedito e aggiorno costantemente. La possibilità di modificare le sequenze in un processo continuo le trasforma in opere viventi che cambiano e crescono con me. Sono un racconto emotivo che stimola anche l’udito di chi guarda, in modo immersivo».

Nonostante la drammaticità, ciò che colpisce nelle sue immagini è la dolcezza. Il candore con cui ritrae, per esempio, l’ultimo bacio dato a un amico morente di Aids. La sua fotografia riguarda l’esperienza di essere umani, nel bene e nel male; la bellezza è nel mostrare accettazione per chi realmente siamo. 
«Ho profondamente amato le persone che ho ritratto, la dolcezza è sempre stata congenita nell’azione stessa di fotografare. Fin dall’inizio, con la mia ricerca, ho voluto parlare della complessità e della difficoltà dei rapporti umani, di sentimenti e questioni universali con cui tutti siamo chiamati a relazionarci. Il mio lavoro parla di sofferenza e alienazione, senza mai esprimere un giudizio sulla vita altrui». 

Di Ballad of Sexual Dependency la sua opera più nota, lei ha detto: “È il diario che lascio leggere alle persone. Il diario è la forma di controllo che ho sulla mia vita”. Sono parole ancora attuali?
«Per anni, anche quando non fotografavo, facevo disegni e pitture come diari e scrivevo un diario. Oggi ho smesso, non ne sento più il bisogno. Tenere un diario in realtà non ha aiutato la mia memoria, è stata un’ossessione che ha lasciato tante zone grigie. Ma Ballad era un diario sincero e lascio ancora che la gente lo legga». 

Immagini tratte da Tutta la bellezza e il dolore, il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Immagini tratte da Tutta la bellezza e il dolore, il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. 

Il suo lavoro è stato scioccante non solo sul piano emozionale e dei contenuti, ma anche formale. Ha reso arte l’istantanea a colori quando nelle gallerie si esponevano solo raffinate stampe in bianco e nero.
«Ci è voluto molto tempo perché la mia ricerca venisse considerata arte, non prima dei tardi anni 80. Sono fiera che il mio lavoro sia stato radicale e abbia innescato un totale cambiamento di vedute, motivando altre persone a documentare la propria vita».

Picnic on the Esplanade è un’immagine del 1973: la foto ricorda il quadro di Manet Colazione sull’erba del 1865: opere rivoluzionare per la propria epoca. Manet raffigura un corpo nudo in forma non allegorica, lei ritrae il terzo genere con assoluta grazia.
«Lo scatto appartiene a The Other Side, libro dedicato ai transgender. Li ho ritratti per come erano e volevano mostrarsi. Non cercavo nulla da smascherare o svelare. Attraverso il mio sguardo volevo rendere loro omaggio. Le mie sono le uniche immagini dell’epoca a colori, fu totalmente innovativo portarle fuori, alla luce del sole». 

Che cos’è la bellezza per lei? 
«Le persone che amo sono belle, non le guardo più in maniera critica. La bellezza sono le facce dei miei amici». 

Immagini tratte da Tutta la bellezza e il dolore, il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Immagini tratte da Tutta la bellezza e il dolore, il film di Laura Poitras che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. 

This Will Not End Well, la sua retrospettiva, è anche il titolo del suo ultimo libro edito da Steidl. A cosa allude?
«È una forma ironica per sdrammatizzare il lavoro di una vita… Ma non finirà bene per nessuno di noi, siamo tutti mortali. I giovani si sentono immortali, io mi ci sono sentita fino ai 60 anni. Poi improvvisamente il bagliore della mortalità mi ha svegliata. Fa anche riferimento alla condizione del mondo: dobbiamo tutti assumerci responsabilità e impegnarci concretamente se vogliamo uscirne».

Quanto è importante l’attivismo per lei? E cosa rappresenta il percorso fatto con l’associazione P.A.I.N.? 
«Il mio lavoro è sempre stato politico, anche se all’inizio non lo vedevo. Quando sono venuta a conoscenza dell’emergenza di overdose da farmaci regolarmente prescritti, dovevo denunciare. Per questo ho costituito P.A.I.N. (Prescription Addition Intervention Now), l’associazione che si è battuta per boicottare la famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma, produttrice dell’OxyContin, antidolorifico oppioide che crea immediata dipendenza, responsabile di una strage di vite in America. Il primo anno dopo la fondazione di P.A.I.N. ho smesso di fotografare: la mia pratica artistica erano le azioni di protesta».

I Sackler erano filantropi nel mondo dell’arte. Con le sue proteste è riuscita a portare i più importanti musei del mondo a rifiutare le loro donazioni. 
«Nonostante fossimo un piccolo gruppo, la nostra azione è stata forte. Abbiamo manifestato al Guggenheim, al Met, al Louvre e, grazie alla copertura dei media e al web, le cose sono andate veloci. Abbiamo colpito una famiglia di milionari, cambiando il significato dei loro nomi». 

Questa storia è al centro del film Tutta la bellezza e il dolore vincitore del Leone d’oro a Venezia.  
«Essere il soggetto di un film è stata dura. Ho fatto le interviste a condizione di poter poi rieditare qualsiasi cosa non mi fosse piaciuta. È la mia storia, narrata dalla mia stessa voce: dovevo essere assolutamente certa che raccontasse la mia verità».