John Nollet risponde alla video intervista seduto in taxi e, mentre parla, dal finestrino sfilano le facciate della Parigi haussmanniana. Hairstylist tra i più apprezzati dalle celebrities (tra le clienti affezionate Monica Bellucci e Nicole Kidman, ma suoi sono anche ad esempio i dreadlocks di Jack Sparrow/Johnny Depp), da qualche mese è stato nominato direttore creativo di maison Carita, il marchio sorto intorno all’istituto – interamente ristrutturato dopo l’acquisizione di L’Oréal – al civico 11 di rue du Faubourg Saint Honoré a Parigi. Fondato dalle sorelle Rosy e Maria nel 1952 negli anni ha accolto le più grandi star e principesse del mondo, da Wallis Simpson (che ne aveva perfino tagliato il nastro inaugurale) a Grace Kelly, passando per Brigitte Bardot, Catherine Deneuve, Sophia Loren.
Cosa sente di avere in comune con le sorelle Rosy e Maria Carita?
«Loro sono state le prime imprenditrici della bellezza, delle vere pioniere, molto avanti rispetto ai tempi. Hanno liberato le donne dalle acconciature laccate e rigide degli anni Cinquanta, la parola chiave per capire la loro filosofia è, appunto, leggerezza, sia nelle formule dei prodotti sia nel risultato sui capelli proponendo una fluidità che prima non esisteva. Ecco, io sposo in pieno questa dottrina: cerco sempre di avvicinarmi a un’interpretazione il più naturale possibile dell’hair look, lo trovo sexy. Preferisco che a una donna venga detto “sei bella” piuttosto che “sei ben pettinata”. Il mio primo obiettivo è mettere in valore la persona che ho davanti».
In questi 20 anni di carriera come ha visto cambiare il rapporto tra le donne e il loro fisico?
«Oggi accettano più facilmente il fatto di invecchiare, ma vogliono farlo in prima classe e quindi si prendono cura di se stesse su più livelli: fanno sport e mangiano in maniera sana, sono meno ossessionate dalle rughe ma cercano, invece, di conservare una forma di freschezza, sia fisica sia intellettuale».
I capelli restano comunque un veicolo di seduzione e di potere?
«Sì, di questo sono convinto. Potremmo stare qui a parlarne per ore ripercorrendo tutti gli episodi della storia e, ancora prima dei miti, che ne sono la prova, ma ormai è un dato di fatto: i capelli “dialogano” con la società sino a diventare, a volte, veri strumenti di rivendicazione. Da un punto di vista puramente estetico, possono servire a valorizzare alcuni elementi del viso e a nasconderne altri, meno armoniosi. È tutta una questione di volumi. Sta a me servirmi di questo potere per rivelare i punti forti della donna che ho davanti».
È questo che si aspetta una donna quando va dal parrucchiere?
«Molto di più. Oggi a una donna viene richiesto il massimo sotto il profilo personale e professionale: quando arriva in salone vuole che qualcuno si occupi di lei, che la sollevi dalla routine; magari vuole trascorrerci la giornata, come può fare da Carita, e quando uscirà dovrà sentirsi leggera sul piano mentale, serena, ma anche appagata».
Ha composto personalmente le playlist dell’istituto. Che autori ha selezionato?
«La mia scelta è stata condizionata dalla storia della maison Carita. Qui sono nati il biondo Deneuve, il bob della cantante francese Mireille Mathieu, il taglio alla garçonne di Jean Seberg, quindi bisognava in qualche modo evocare questi anni gloriosi. Ecco perché un terzo della musica riporta al passato, un terzo è attuale e il resto è un mix eclettico. Volevo che ispirasse benessere senza cadere nelle sonorità zen. Si può essere trasportati “altrove” anche ascoltando le canzoni degli anni Sessanta o i ritmi cubani, che a me piacciono molto perché adoro ballare».
Si può ancora parlare di tendenze per i capelli?
«Negli anni Sessanta e Settanta c’erano diktat molto forti, i trend erano delle vere e proprie scelte obbligate. Oggi tutto questo non esiste più, ognuno può seguire i propri desideri, c’è un piacevolissimo vento di libertà. Siamo noi a determinare i codici estetici. Nella bellezza come nella moda. Il creatore è là per proporre, ma siete voi, e solo voi, a disporre e a fare la scelta finale».
I social hanno molto cambiato il rapporto con l’immagine: condizionano il suo lavoro?
«Io li frequento per ispirarmi, ma spesso vedo le stesse cose ripetute all’infinito. Temo il rischio che questi canali finiscano col riportarci a quei condizionamenti che ho criticato prima: tendenze imposte, stereotipi, codificazioni... Penso siano bellissimi quando offrono spunti alla curiosità, certo non quando cercano di imporre decisioni che spettano a noi».
Qual è il miglior complimento che le abbiano mai fatto?
«Lei è un mago. E mi è stato detto attraverso un guizzo felice dello sguardo prima ancora che con le parole».
Adesso che è direttore artistico di Carita riesce ancora a esplorare il mondo con il suo “hair room service around the world”, il suo salone itinerante che lei trasporta in bauli Louis Vuitton negli hotel Hyatt del mondo?
«Mi sposto un po’ meno, ma i bauli pieni dei miei accessori ci sono, eccome. Io sono sempre pronto a partire ma, anche quando resto fermo, finisco per accorgermi che ogni incontro è per me un viaggio straordinario».