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CASAMATTA
Femminicidio Martina Scialdone: se fossi stata lì
CASAMATTA

Femminicidio Martina Scialdone: se fossi stata lì

Capita: sottovalutare il pericolo, sopravvalutare le proprie capacità di gestirlo. Almeno settanta persone hanno assistito alla sua ultima mezz’ora di vita. Se fossi stata io una di quelle persone. Se fossi stata io quella donna. Questo non smetto di pensare.  

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Sono passati molti giorni da quando Martina Scialdone è stata uccisa. Altre decine di omicidi commessi da ex mariti, ex fidanzati, ex compagni si saranno consumati e l’avranno spinto indietro nella memoria. Ma vi prego di continuare a leggere questa storia e di ragionare con me: non tanto sulle ragioni, ammesso che questo termine si possa usare dove la ragione collassa, che porta un uomo a uccidere una donna che lo rifiuta. Ne abbiamo detto tante volte. No. Il pensiero che non mi abbandona non è il gesto di lui: è da una parte la reazione delle decine di persone – una settantina – che hanno assistito alla lite che ha preceduto l’omicidio, dall’altra l’atteggiamento della vittima.

Martina Scialdone aveva 35 anni, era avvocata esperta di diritto di famiglia, si era occupata molte volte di casi di violenza sulle donne. Una persona consapevole, dunque, di ciò che lei stessa stava vivendo: ma sappiamo bene quanto sia difficile applicare a noi stessi i consigli, la cura che riserviamo agli altri. Si trovava a cena in un ristorante affollatissimo. Tra lei e il suo assassino – Costantino Bonaiuti, 61 anni, ingegnere – è scoppiata una discussione molto accesa, a tavola. Le cronache diranno che lei lo aveva lasciato, era una cena di “chiarimento”. L’uomo era armato di pistola. Mezz’ora dopo, per strada, le ha sparato in pieno petto. Quel che mi preme qui è capire come mi sarei comportata io, chiedervi come vi sareste comportati voi se aveste assistito a una scena come questa: due persone litigano, si sentono spezzoni di conversazione violenta. La donna, certamente spaventata, si chiude nel bagno del locale. In bagno ci sono altre persone. Le hanno parlato? Le hanno chiesto se potevano fare qualcosa per lei? Uno dei titolari, dopo qualche minuto, apre la porta del bagno con la chiave di riserva e la invita a uscire. Dicono, i titolari, di aver intanto chiamato la polizia. Ma nel frattempo: qualcuno si è alzato dal tavolo per avvicinarsi? Si è rivolto a lei offrendole aiuto? I titolari le hanno proposto di riparare in cucina, alla cassa? Di aspettare insieme a loro la polizia? No, perché, sostengono, la donna ha risposto di non aver bisogno di niente: «È tutto a posto», avrebbe detto. Ammesso che sia andata così, le indagini diranno, è qualcosa su cui riflettere il fatto che una persona abituata ad assistere donne maltrattate non abbia avvertito il pericolo per sé o che abbia pensato, più verosimilmente, di poterlo tenere sotto controllo. 
Capita: sottovalutare il pericolo, sopravvalutare le proprie capacità di gestirlo. Prima di uscire per strada Martina Scialdone ha chiesto a un cameriere una sigaretta. «Aveva lo sguardo terrorizzato», ha detto l’uomo. Come vi regolereste voi con una donna dallo sguardo terrorizzato? Pensereste sono fatti suoi? Interverreste? Domando senza avere risposta. Con quella sigaretta in mano Martina Scialdone è morta. Almeno settanta persone hanno assistito alla sua ultima mezz’ora di vita. Se fossi stata io una di quelle persone. Se fossi stata io quella donna. Questo non smetto di pensare.