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CASAMATTA
Nessuno si occupa dei sopravvissuti
CASAMATTA

Nessuno si occupa dei sopravvissuti

Del romanzo in cui ho sottolineato quasi tutto e del dolore che è un corso di recitazione

2 minuti di lettura

Il dolore è un corso di recitazione. Impari a fingere con tutti. Esci, parli, sorridi, ti mischi agli altri, rassicuri, assicuri di farcela, tieni botta. Dentro hai l’inferno che brucia e scava. Fuori ti atteggi a normale. All’inizio è dura, non inganni nessuno. Sanno cosa ti è successo, si aspettano da te che tu soffra. Col tempo diventi credibile, mostri miglioramenti fasulli. Quasi sempre ci cascano. Vogliono cascarci. Da lì in poi ti affidi all’improvvisazione. È un pulsante che sei in grado di premere ogni volta, in pubblico. Non solo diventi un attore: diventi bravissimo. Sei un Nastro d’argento miglior protagonista e nessuno lo sa, tranne te”.  (Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta, Mondadori).
Nella mia irrilevante ma ormai consistente esperienza, se contiamo anche gli anni della scuola e certo che li contiamo, un libro si accende dove sottolinei. Ti accende quando lo sottolinei. Se per esempio sei a letto e devi alzarti perché non hai la matita sul comodino, devi sentire quel freddo che non vorresti ma non importa, hai bisogno della matita. Ho una memoria fatta di vento, non so voi. Guardo e ascolto sbalordita le macchine umane da citazione: quelli che mentre parlano si poggiano leggeri su decine di aneddoti letterari, frasi intere, incipit. Non so come facciano. Forse inventano, mi dico a volte: forse contano sul fatto che tanto nessuno se ne accorgerà, in platea, o pochissimi i quali confusi da velocità e quantità di rimandi non faranno in tempo a dirsi strano, non mi pare così. Poi è tardi, non ha più importanza, applausi e firmacopie – o risultato di ascolti il giorno dopo, se è tv. Ma no, invece. Direi che non inventano, alcuni ricordano. A me dei libri resta un’impressione. Un suono, un colore. Non so mai nemmeno raccontare le trame. Perciò sottolineo, così dopo ritrovo, e naturalmente lo faccio dove il testo mentre lo leggo mi legge. Dove la pagina, mentre la guardo, mi riguarda. È per questo che è così faticoso, quasi impossibile, studiare su manuali usati (e sottolineati a volte con l’evidenziatore indelebile, siete pazzi?) dove altri hanno segnato quel che era rilevante per loro e non per te, leggere romanzi o saggi di seconda mano dove la tua è la seconda, appunto, almeno la seconda. Ti distrai continuamente a pensare perché avrà segnato questa frase e non hai più voglia di continuare. Solo con i libri delle persone che ho amato e che sono morte, o in altra forma scomparse, mi incantano e un poco mi ossessionano i punti esclamativi a margine, le doppie linee e quelle invece singole, i cerchi: cerco lì dentro qualcosa di loro, li cerco. Del romanzo citato ho sottolineato quasi tutto, al punto che quando l’ho chiuso ho pensato: è inutile, così. Non è una selezione. Non mi aiuterà a ritrovare il passaggio che cerco quando lo cercherò. Alla pagine sulla “testardaggine del dolore” mi sono fermata e ho deciso che era il momento di fare un bagno in vasca. Così. A metà pomeriggio. Non c’è niente come l’acqua in certi casi. È vero quel che scrive Bianchi: nessuno si occupa dei sopravvissuti e tutti lo siamo: non è una gara a chi abbia subito il danno peggiore, no. Tutti siamo ancora qui, a combattere e a recitare. Tutti Nastri d’Argento.