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Le donne odiano invecchiare perché non riescono più a immaginarsi oggetti di desiderio e non hanno ancora imparato a immaginarsi soggetti di desiderio

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Le donne odiano invecchiare perché non riescono più a immaginarsi oggetti di desiderio e non hanno ancora imparato a immaginarsi soggetti di desiderio. Titolari del diritto di scegliere. Di accettare, rifiutare, prendere l’iniziativa… gli uomini non se ne stanno lì tutti impennacchiati, ad aspettare di essere scelti. Scelgono. Impariamo anche noi. Osiamo parole diverse, altri gesti, tenerezze spudorate e imprudenti. Il terzo tempo della vita è un buon momento per esercitarsi a cambiare». Age pride, per liberarci dai pregiudizi sull’età (Einaudi) è il titolo del libro con cui Lidia Ravera prende a calci la nostra paura di invecchiare. E lo fa con la solita maestrìa di scrittura e una gran dose di ironia che ci scalda il cuore. È un pamphlet, un altra tappa del ragionamento che la scrittrice percorre da qualche anno. Ci ha scritto un romanzo, Il terzo tempo (Bompiani), il cui titolo è diventato anche il nome di una collana di libri, da lei curata, per HarperCollins dove raccoglie romanzi e saggi di autori vari i cui protagonisti sono, ovviamente, anziani. Grandi adulti, mi perdoni Ravera che conia questo nuovo termine per driblare il tentativo di ammorbidire i preconcetti usando l’inglese (gli odiati over silver e senior). L’assunto è semplice: non si erano mai visti tanti vecchi sulla Terra. Morivamo prima, i nonni erano rari, la terza età, quando arrivava, veniva vissuta in silenzio, a letto, protetti dall’abbraccio di grandi famiglie che si accollavano l’ultimo faticoso tratto di strada del parente. Dunque siamo di fronte a un esercito di esseri umani il cui compito non è ancora chiaro. Soprattutto adesso che la saggezza è così poco valutata e il corpo giovanissimo regna.
Scombussolati dall’avanzare dell’età, malvisti al tavolo del desiderio, questi grandi adulti hanno davanti due possibilità: farsi di nuovo giovani – tra vitamine, ginnastiche, integratori, chirurgia – spendendo una enorme quantità di denaro senza essere garantiti dal risultato o scrivere nuovi copioni, ridisegnare i costumi, ritoccare i canoni della bellezza e lo spirito del tempo. Ravera ci spinge da questa parte. “La patologia più grave della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo”, scrive James Hillman da lei citato. In questo libro Ravera si rivolge soprattutto alle donne perché è sulle donne che ogni pregiudizio picchia sempre più forte. Siamo noi che fatichiamo di più, soprattutto a liberarci dall’idea che l’amore e il sesso abbiano senso, siano appaganti solo quando arriva al termine quella caccia che chiamiamo seduzione e che va sempre in un’unica direzione: il lupo che rincorre l’agnellina. Fatevi lupe, insomma, e divertitevi fin che ce n’è. E ce n’è più o meno fin quando decidete voi e nel modo in cui lo decidete.
A nessuno piace invecchiare, siamo abituati a pensare. Vero. Ma c’è qualcuno a cui piace essere un adolescente, o avere vent’anni, o che esulta dei suoi trenta? Le età sono tutte una trappola se non facciamo pace con l’idea che il tempo si muove. Tutto ciò che è vivo invecchia e muore. È la natura, è ciò che ci distingue dai robot, dice Ravera. E la nostra intelligenza non è artificiale proprio perché è ben avvitata su un corpo che, appunto, cambia. Insomma, dice Ravera, ce la vogliamo prendere questa responsabilità storica di ragionare sulla vecchiaia o vogliamo continuare a far finta che non esista, a tentare di mimetizzarla a renderla grottesca? Dove è andata a finire tutta la sua buddista saggezza, tutta la comprensione del mondo che ci aveva spiegato aver appreso dalla cabala, quando Madonna si è presentata dal suo chirurgo dicendogli fai della mia faccia quello che vuoi purché non debba trovarmi davanti allo specchio il volto di un donna della mia età? Ha ragione Ravera: la cosa giusta da fare è imparare a sculettare col cervello. Dura di più, da più gusto e tiene molta più compagnia.