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È CHIARO CHE SIAMO NOI
Maurizio Costanzo, il domatore del circo
È CHIARO CHE SIAMO NOI

Maurizio Costanzo, il domatore del circo

Il Costanzo Show, dove nacque una certa idea di tv

2 minuti di lettura

Ho conosciuto Maurizio Costanzo attraverso quel lascivo postribolo di colori viziati, tricologie improbabili, suoni distorti e pionierismi su cui qualsiasi televisione negli anni anni 80 avrebbe potuto apporre un’insegna. Come asini all’abbeveratoio trangugiavamo ogni stilla d’acqua, ogni immagine, ogni voce e la facevamo nostra perché improvvisamente – e in un istante che seppe come evolversi e prolungarsi – la tecnologia veniva finalmente in aiuto dei genitori distratti. C’era la scatola magica, c’era il telecomando, c’era il modo di togliersi un problema con piena soddisfazione reciproca. La prole, accampata davanti a uno schermo, vedeva passare cartoni animati, quiz e telefilm. La tv era madre. Era padre. Era famiglia. 
E tra i parenti acquisiti, a tarda sera, c’era il domatore del circo. Uno psicologo nato. Uno che conosceva i leoni in platea e ne valutava la pericolosità al primo sguardo. Uno che avrebbe saputo parlare anche a un sasso, ma che con gli esseri umani, meglio se originali, dialogava come nessuno. A Costanzo piacevano i matti. I poeti estinti. I menestrelli di strada. Poteva ridere fino alle lacrime per cose che facevano ridere soltanto lui, arrabbiarsi, proteggere o insolentire con una vitalità di cui i presentatori odierni, terrorizzati dalla correttezza formale, dalle reazioni del pubblico e dai censori da tastiera hanno chissà quanto consapevolmente demolito la lezione. Per esporre i propri prosciutti sugli scaffali del supermercato – Guia Soncini, ti siamo tutti debitori – cantanti, attori, politici e scrittori si alternavano sul palco ogni sera. Il teatro Parioli era un campo dei miracoli. Arrivavano i pullman da Avellino, Cuneo ed Afragola, la gente si sistemava in platea e gli ospiti transumavano in camerino. La strada si faceva tortuosa, i corridoi stretti, i collaboratori di Costanzo regolavano il traffico, la frezza bianca di Alberto Silvestri – silenzioso, ieratico, enigmatico – vigilava sull’umore del suo complice e sul fischio d’inizio della partita. 
Poi si giocava e l’arbitro era dio. Ammoniva, premiava ed espelleva a suo insindacabile giudizio. Erano tutti di sua proprietà, giganti e nani. Tutti nelle sue mani. Per il quarto d’ora di celebrità, nessun problema. Ma la qualità di quel quarto d’ora dipendeva da come sapevi prendere Maurizio, ben prima che dal tuo talento. Prenderlo non era semplice. Sfidarlo insensato a meno che, per masochismo, non si volesse soffrire. Ogni tanto nel Colosseo scendeva anche mia madre. Me la ricordo con i suoi prosciutti sotto braccio, i libri, preoccupata come il pugile in attesa di salire sul ring. Il suo umore dipendeva dalla qualità dell’incontro. «Come è andata?», chiedevamo a casa e lei, invariabilmente rispondeva: «Male». Le ci volevano giorni per riprendersi da una trasmissione e viveva con ansia contraddittoria la possibilità di essere richiamata. Temeva e bramava, così, per un lungo decennio. Una volta, non avevo neanche dieci anni, la accompagnai. E capii che le sue non erano solo civetterie, ma che per affrontare la forza d’urto di uno show come quello non c’era preparazione che tutelasse. Era tutto vero. Tutto tangibile. Tutto dolcissimo o, al contrario, molto violento. Bastava un sospiro, una frase di troppo, un soffio di vento, una risata sguaiata dalla fila cinque per ribaltare il pronostico. Dal Costanzo Show potevi tornare a casa con l’illusione di aver vinto, ma se perdevi uscivi a pezzi. Poi Maurizio l’ho conosciuto davvero. Era simpatico e spiritoso. Famelico e, ovviamente, bulimico. Non di bignè, ma di curiosità. Ti faceva una domanda e ascoltava sul serio. Dava consigli. Vedeva al di là. Voleva fare tutto e non trovava mai il tempo. Ora che i calendari appartengono all’inutilità e le date all’irrilevanza della routine c’è tutto un palinsesto da costruire. In via Boezio i televisori sono ancora accesi. Provate voi a trovare l’interruttore.