Grazie per le vostre parole, ma come si fa a essere indipendenti dal giudizio degli altri? Avete un consiglio?» La voce è di una ragazza. L’unica che ha avuto il coraggio di alzare la mano fra trecento studenti di 15-18 anni seduti in aula magna, coi professori in prima e in ultima fila a controllare l’assemblea. Chiunque ricordi sa cosa significa essere quello che alza la mano al momento del: ci sono domande? Si sottopone al giudizio dei suoi compagni, dei suoi insegnanti, può accadere che a scuola se ne parli per settimane. Intanto, mentre parli, tutti si voltano verso di te e devi sostenere il loro sguardo. È così che noi, quella mattina, abbiamo visto il volto della voce: si sono girati tutti nelle file davanti, l’abbiamo individuata anche dalla cattedra. Noi, le relatrici del discorso motivazionale sul “siate voi stessi”, “il valore della differenza”, “non cercate l’approvazione di nessuno che voglia da voi quel che non desiderate”.
La ragazza tiene la schiena diritta e gli occhi bassi. Come si fa a non temere il giudizio, ha chiesto, e ora sta lì in silenzio con tutti gli occhi addosso. Intanto brava, vorrei dirle. Rispondo invece: non ho nessun consiglio. Non lo so, in verità, come si faccia a non dipendere dall’approvazione altrui. È molto difficile anche per me, per esempio, dire di no quando mi dispiace deludere qualcuno. E spesso, troppo spesso penso alla delusione altrui prima che al sacrificio mio: faccio fatica a dire di no perché faccio fatica a pensare che non sono stata all’altezza delle aspettative. Confido alla ragazza, ai trecento studenti attorno a lei, che ci ho messo molti anni, decenni, a capirlo. Non siamo ogni minuto sottoposti a un esame di gradimento per cui se sono brava mi tieni, se no mi lasci, dunque devo essere bravissima. Ci ho messo ancora di più a capire che meno assecondi il desiderio altrui, più ti neghi, più vai per la tua strada, ti fai i fatti tuoi, più sei considerata. Funziona al contrario, quel meccanismo. Dovrebbero spiegarcelo bene da piccoli. Ci si dovrebbe fare sempre una domanda, quando pensiamo di essere messi alla prova: se piace a noi, quello che stiamo facendo. Se è giusto per noi o se piace ed è giusto per qualcun altro. Nemmeno io ci riesco sempre: so che dovrei farlo, ogni tanto me ne dimentico. Si fa silenzio in aula magna. Forse sarebbe stato più opportuno dare dei consigli pratici, istruzioni precise, ma non ne avevo. Le domande sono arrivate e si sono moltiplicate dopo, nei capannelli nell’atrio al momento dei congedi. Un ragazzo di 17 anni si è avvicinato proprio mentre ce ne stavamo andando. Sulla soglia ha chiesto: ma su questa questione della parità fra uomini e donne, io che sono un maschio cosa potrei fare? Che tenerezza. Metterti nei panni – gli ha risposto una professoressa – immagina di essere al posto della ragazza che hai di fronte. Lui ha sorriso e pianissimo ha detto: non so se ne sono capace. Le ragazze sono così sicure, così belle che certe volte mi fanno paura.
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Non so come si faccia
Quella domanda da porsi, sempre
di Concita De Gregorio, illustrazioni di Rebecca Clarke