Docu-fiction sui militari dell’Ariete in Libano
Girata durante la missione in Medio Oriente della brigata pordenonese: ora è in programmazione sui canali di Sky

PORDENONE. Ha girato un documentario sui soldati italiani in Libano quando in missione c’erano l’anno scorso i militari dell'Ariete. Ora il docu-fiction “Lungo la Blue Line. Voci dal Sud del Libano” di Andrea Bettinetti è stato presentato in anteprima nazionale il 23 aprile a Roma, per poi passare dal 25 sui canali di Sky.
Un filmato in cui il regista cerca di mettere a nudo, senza retorica, il fondamentale lavoro dei militari in questa terra tormentata da conflitti, nodo cruciale per la pace del Medio Oriente, con le storie personali degli arietini pordenonesi e quelle dei Lancieri di Novara di Codroipo.
Come le è venuta l'idea di girare un film sui nostri soldati in Libano?
«Avevo già girato per Rai Educational e History Channel un documentario sul Check Point Pasta del 1993 in Somalia, la battaglia del pastificio a Mogadiscio tra i nostri soldati e i ribelli somali. Tre anni fa realizzai invece “Afghanistan. Reduci” sui soldati rientrati in patria con ferite fisiche e psicologiche. Insomma, ho incominciato a girare in posti dove ci sono situazioni non risolte. Su suggerimento dei produttori di “Reduci”, ho voluto girare un documentario sul lavoro dei nostri soldati in Libano, di cui si sa molto poco o meno di quello che succede per esempio in Afghanistan, perché è una missione meno mediatica. Eppure è di una valenza importante: qui si gioca il destino del mondo».
Di cosa parla questo lavoro?
«Il film documenta le 24 ore di una giornata della missione nelle basi, che dura 24 ore su 24, 7 giorni su 7. In realtà, è stato girato per quasi un mese, con il direttore della fotografia, Pierluigi Laffi e il fonico Massimo Pozzoli, in tutte le basi dov'erano i nostri soldati: Shama, Al Mansouri, Naqoura, postazione 1-31 e anche a Tiro. Non è un reportage politico. Racconto chi sono i soldati che fanno queste missioni, le loro storie».
Qualche esempio?
«Ho trovato un padre e una figlia in missione assieme, sia pur in basi diverse. Mi ha colpito una ragazza, che avrà avuto neanche trent’anni, che raccontava le sue impressioni paragonando il Libano al Sud Italia, da dove proviene. Storie così, brevi interventi, piccole cose, che aprono una breccia in chi le ascolta, che può così capire chi sono le persone che hanno scelto questo lavoro, cosa pensano, le loro impressioni, che vita fanno, come hanno incontrato l’amore, perché si sposano tra militari».
Com’è la struttura del documentario?
«Le sequenze iniziano con le riprese di due mezzi Lince che escono dalla base per un pattugliamento notturno e finiscono con i mezzi che alla sera dopo rientrano. C'è una voce narrante, quella di Filippo Timi, che racconta lo stato d’animo, l'importanza della missione, e le immagini che inframmezzano le storie lasciano molto spazio all’atmosfera, lasciano parlare luoghi e suoni. Ci sono anche delle sequenze animate, create dall’animatore e cartoonist Michele Camerotta di Udine».
Cosa le è sembrato questo ambiente?
«Ho avuto la conferma di che persone sono quelle che fanno questo lavoro particolare. Persone schive, riluttanti ad apparire, a fare i personaggi. La maggior parte è di estrazione popolare. Credono moltissimo nei valori per i quali indossano una divisa. Non è facile far capire al pubblico questo mondo peculiare che a me ha molto colpito. E poi, c’è il fatto della delicatezza di questa missione. Sembra tranquilla, che non succeda nulla: in realtà in Libano non c’è niente di tranquillo, e tutto può succedere»
Cosa le è piaciuto di più in questa esperienza?
«L’organizzazione della missione, come è tutto pianificato. E, ovviamente, le storie. Ho documentato la vita che non ho mai fatto, visto che non ho neanche prestato servizio di leva. E, devo dirlo, mi è piaciuta tantissimo».
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