Col velo a una seduta pubblica in municipio: maximulta
San Vito al Tagliamento, mamma musulmana col volto coperto dal niqab al consiglio comunale dei ragazzi: decreto penale di condanna. L'avvocato dalla donna: faremo opposizione

SAN VITO AL TAGLIAMENTO. Col velo al consiglio comunale dei ragazzi di San Vito al Tagliamento, ancora guai giudiziari per la mamma musulmana. Le è stato notificato il decreto penale di condanna, emesso dal gip Alberto Rossi su richiesta del pm Federico Facchin.
Quattro mesi di reclusione e 600 euro di multa, convertiti in un’ammenda di 30 mila e 600 euro e non menzione nel casellario giudiziario. L’avvocato Silvio Albanese, che assiste la donna, intende opporsi al decreto. Si andrà pertanto davanti al giudice.

La mamma era stata indagata per interruzione di pubblico servizio e per violazione dell’articolo 5 della legge 152 del 22 maggio 1975, la cosiddetta legge Reale.
La normativa, che risale agli anni di piombo, vieta di «prendere parte a pubbliche manifestazioni, in luogo pubblico o aperto al pubblico, facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l’impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona».
La prima accusa è caduta. Per la seconda la Procura ha deciso invece di procedere. Il 19 ottobre del 2016 la mamma sanvitese ha preso parte al consiglio comunale dei ragazzi – attività che il pm Facchin definisce «manifestazione pubblica» – indossando il niqab, il velo integrale islamico.
Secondo il capo di imputazione, dopo essere entrata nella sala consiliare per assistere all’iniziativa alla quale stava partecipando suo figlio, la donna è stata invitata all’esterno, identificata da due agenti della polizia locale. Le vigilesse l’avrebbero resa edotta, secondo gli inquirenti, del divieto di partecipare con il volto celato (l’avviso non risulta invece alla difesa dell’indagata).

Dopo i controlli la mamma è entrata indossando il niqab, che le lasciava scoperti solo gli occhi. Il sindaco Antonio Di Bisceglie ha quindi sospeso la seduta.
Sono tre le carte che intende giocare la difesa. Innanzitutto secondo l’avvocato Albanese il consiglio comunale dei ragazzi non può essere considerato una manifestazione pubblica.
«Pur trattandosi di un’iniziativa encomiabile – ha osservato il legale – non ha alcun carattere di ufficialità. Per questo siamo convinti che l’opposizione sarà accolta».
In secondo luogo va valutata la ratio della norma. Risale al 1975 ed è stata pensata dal legislatore per contrastare il terrorismo brigatista. In quel contesto storico e sociale non si poteva prevedere il caso di una donna col niqab.
«Riteniamo – ha proseguito l’avvocato Albanese – che vi sia stata un’applicazione un po’ formalista della norma: la mia assistita non ha messo in pericolo nessuno.

È andata in municipio nella veste di mamma, perché il figlio stava partecipando all’assemblea, senza alcun intento provocatorio o volontà di violare alcuna norma di diritto positivo. Intendiamo opporci al decreto per spiegare le ragioni di fatto e di diritto per le quali non è stata violata alcuna norma. Valuteremo in quale forma».
C’è poi l’asso della manica della difesa: un precedente. A Cremona è finita a giudizio una donna che aveva partecipato col niqab a un processo penale per atti di terrorismo: il tribunale l’ha assolta nel 2008 perché il fatto non costituisce reato.
«La mia assistita è molto provata. Non si aspettava che si scatenasse un caso mediatico di portata nazionale – ha concluso l’avvocato Albanese –. Non vuole portare avanti nessuna crociata o guerra di religione, ha solo il desiderio di fare la mamma e di prendersi cura dei suoi figli e tutelarli.
Riteneva che fosse legittimo stare al fianco del suo bambino, con le modalità previste dal suo credo, ovvero il velo». Sono pochi in paese a guardarla con sospetto: la maggior parte dei suoi concittadini le ha espresso solidarietà.
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