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Il vescovo di Pordenone: no ai profughi nelle strutture della Chiesa

Monsignor Pellegrini: «Le parrocchie non hanno spazio, ma daremo una mano». Un patto a tre con Comune e prefetto: si cerca un capannone fuori dalla città

di Martina Milia
2 minuti di lettura

Il passo avanti, che per ora mette tutti d’accordo, arriva sotto il tetto dei senzatetto, arriva alla Locanda – rifugio nato dall’ex albergo in largo San Giovanni – nell’incontro che il vescovo ha voluto in occasione della giornata della povertà. Dopo l’addio al dormitorio non saranno le parrocchie della città ad aprire la porta: sarà trovata una struttura – si sta cercando un capannone – in uno dei Comuni limitrofi che accolgono meno richiedenti asilo delle quote fissate e si cercherà di approntarlo per l’inverno. Non una struttura fissa quindi, ma una struttura per affrontare l’emergenza.

Il vescovo. «In città le parrocchie non è che abbiano strutture inutilizzate. Ci sono gli oratori ma sono strutture che vengono utilizzate per l’attività pastorale e giovanile, specie in questo momento per cui non è pensabile che diventino un dormitorio. Detto questo, come Chiesa faremo la nostra parte insieme alle istituzioni. So benissimo che c’è un tema di quote e non voglio alimentare tensioni. Il territorio però è grande e credo che si possa trovare un capannone in cui allestire una struttura per l’inverno. Serve un ambiente unico in cui gestire questo tipo di emergenza». Il vescovo ha ribadito il concetto anche al vicesindaco Eligio Grizzo, che ha partecipato all’incontro.

Il prefetto. A tenere i rapporti con tutti, come sempre, il prefetto Maria Rosaria Laganà che ha approfittato per parlare con i referenti della Caritas e della diocesi e con il Comune per provare a fare un passo avanti. «Non voglio replicare alle tante cose che ho letto sui giornali perché il mio compito è trovare soluzioni – chiarisce Laganà –. Faccio solo notare che siamo passati da 250 a 1100 persone in due anni e che i posti li ha trovati la prefettura in questi anni. Tutti condividono che c’è un problema e che va cercata una soluzione per l’inverno, ma dobbiamo cercarla tenendo conto degli attuali carichi e delle diverse sensibilità. Mi sto già muovendo in accordo con tutti gli attori coinvolti e nei prossimi giorni avrò diversi incontri anche con le associazioni, per trovare una struttura che possa dare risposta all’emergenza invernale. Spero che anche la Croce rossa, che finora si è mossa con grande senso di responsabilità, voglia essere della partita».

La Locanda. Nella giornata della povertà, la diocesi, con il vicario per la prossimità don Davide Corba e con la Caritas e la cooperativa Abitamondo, ha presentato due progetti che hanno dato importanti risultati: la locanda per i senzatetto e l’housing first (insieme all’Ambito urbano). Con i suoi 19 posti, in poco più di un anno la Locanda ha dato la cena e un tetto per la notte a più di 150 ospiti. Ma ha dato anche molto di più, come ha raccontato Giusy, una delle volontarie: «Qui dentro abbiamo imparato a regalarci del tempo a vicenda. Come volontari abbiamo cercato anche di organizzare serate a tema: le cene, il cinema, anche il barbiere». Ne sono nati incontri tra storie umane che hanno superato i confini degli stereotipi: «L’anno scorso, nel preparare il presepe a Natale – ha raccontato la volontaria –, un ragazzo musulmano ci ha aiutato a fare la grotta».

La casa. Il secondo progetto, che parte del concetto che la casa sia il bisogno primario, ha permesso di inserire 12 persone con un vissuto davvero difficile alle spalle in alloggi Ater. Come Lucio che, in un video toccante, racconta di aver perso il lavoro dopo una paresi, di aver dormito in stazione e preso le botte. «La casa è tutto, è la ragione di una vita».

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