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Aldo Colonnello il “talent scout” della cultura locale

Il “maestro per caso” racconta Corona, Tavan, Buset e Magri «Ho avuto un privilegio: quello di incontrare brave persone»

di Enri Lisetto
2 minuti di lettura

Si definisce «uno che ha fatto quel che doveva fare», che «ha avuto la fortuna di nascere in una famiglia molto povera, tra persone che mi hanno abituato ad assumermi le mie responsabilità». Dunque, un uomo «fortunato, che ha avuto il privilegio di incontrare nella vita brave persone». Al telefono esordisce con un gelido «dimmi». Ma se hai davvero qualcosa da dire, non ti molla più. Se vai nella “sua” casa della cultura, difficilmente esci con meno di uno scatolone di libri. Del resto, la natura alla passione per i libri (e l’archeologia) gli ha abbinato una grande virtù, quella di talent scout, di scopritore di talenti. Si schermisce, nemneno i titoli accademici scuotono la sua umiltà, quella del «maestro per caso». Lui è Aldo Colonnello, che al circolo Menocchio di Montereale raccolse il primo racconto di Mauro Corona, pubblicò le poesie di Federico Tavan, si confrontò con Pierluigi Cappello, prestò i libri (era pure bibliotecario) a Claudia Contin oggi Arlecchino Errante. E ancor oggi non si stanca di lanciare personaggi nel mondo della cultura locale: Massimo Buset per la poesia in pordenonese (è in vista un libro testimonianza, un canto del dolore fecondo, sulla prematura morte della moglie Sofia), Alberto Magri (ne riferiamo a parte), Anna De Simone (Infinito Leopardi è appena uscito), Manuela Bertossi e via dicendo.

Allora, dopo averne proposto qualche ritratto, grazie alla preziosa Rosanna Paroni Bertoja, strappiamo al maestro qualche ricordo, per guardare al futuro. «Un poveretto viveva solo, a Vacile. Ogni 15 giorni passava con la bisaccia a chiedere un po’ di farina. Nonna e mamma ne conservavano sempre un po’ per lui. “Vai a vedere se arriva! – mi dissero – e non portarlo dai ricchi, perché chi ha non dà, chi ha poco dà qualcosa. Gli venne data anche una mela: la lasciò fuori dalla casa di una famiglia povera». Questo per dire che «quello che faccio, lo faccio perché riconosco di aver avuto dei regali nella vita. Ero bambino quando Novella Cantarutti insegnava a Spilimbergo. Se ho potuto frequentare le medie è grazie a lei. Riuscì a convincere mia madre a mandarmi alle Magistrali a Udine. A casa non si avevano soldi per pagare l’abbonamento alla corriera; il fratello di Novella era socio delle Autovie Puppin. Si raggiunse l’intesa: mi avrebbero dato l’abbonamento pagandolo a rate in estate, quando l’orto produceva verdura e si vendeva il maiale. Mi iscrisse alla sezione A, dove insegnava Giuseppe Marchetti, pre Bepo».

Genesi della scoperta di Tavan. «Ero stato chiamato da don Piergiorgio Rigolo che ad Andreis aveva istituito l’associazione Cultura e ambiente e pubblicava testi di Federico sul bollettino parrocchiale. Dovevo parlare di storia locale: arrivò anche Tavan. Qualche giorno dopo venne a Montereale e mi mostrò alcuni foglietti piegati dove aveva messo in forma teatrale e poetica quello che avevo raccontato. Cominciai a pubblicare i quaderni, battuti a macchina e ciclostilati, impaginati dai bambini».

Le frequenti visite di padre David Maria Turoldo. «Quando tornava in Friuli veniva a salutarmi. Insegnavo a Grizzo: non veniva con gli abiti religiosi perché la scuola era laica. I bambini gli dissero: “Se non vieni vestito da frate, non ti facciamo entrare”. La volta dopo arrivò con la tonaca sotto braccio e si vestì prima di entrare».

Eccoci al segreto del successo del Menocchio. «Oggi c’è il rischio omologazione e autoomologazione. In periferia c’è la tendenza a copiare la città, a fare grandi eventi. Noi siamo contro gli eventismi. Il servizio pubblico deve avere continuità e costare poco, deve essere per tutti».

Infine, un messaggio ai giovani. «Nel mio tempo ho cercato di fare la mia parte. Fate anche voi la vostra. Dove casualmente è capitato di vivere. Quello che fate per gli altri, comunque resterà. Molti giovani valgono davvero, molto più di noi. Ma bisogna creare la possibilità che “inventino” la loro vita».

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