Legge elettorale, il centrodestra affossa (per la terza volta) la preferenza di genere
Terza bocciatura. Le opposizioni dicono no a una serie di condizioni, fra cui lo stop al tetto dei tre mandati
Diego D’Amelio
E all’improvviso il Consiglio regionale si trasforma per tre ore in una piccola Bicamerale. Il copione pareva scritto: il centrosinistra presenta per la terza volta la proposta di legge sulla doppia preferenza di genere e il centrodestra la boccia ancora. La misura è però prevista da una norma dello Stato e la maggioranza è in imbarazzo a non recepirla. Comincia così una fitta quanto inattesa trattativa per la riscrittura della legge elettorale, non preceduta in queste settimane da alcun confronto. Il centrodestra mette sul tavolo vari punti, l’opposizione si fa tentare ma poi rifiuta. Finisce che la trattativa salta e pure la doppia preferenza.
L’effetto ultimo della giornata è che i cittadini del Friuli Venezia Giulia voteranno alle prossime elezioni regionali senza la facoltà di doppia preferenza che, se espressa, deve essere rivolta a un candidato e una candidata. La Regione resta una delle quattro in Italia a non ammetterlo, come una legge dello Stato stabilisce tuttavia dal 2016, senza che Piemonte, Sicilia, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia abbiano ottemperato.
Il Consiglio regionale infatti affossa per la terza volta la misura, con il centrodestra compatto contro la proposta di legge presentata dal dem Francesco Russo. Vi si era impegnato anche il presidente del Consiglio Regionale Piero Mauro Zanin, che ora commenta con un «bene il principio ma tempi sbagliati».
Le notizie arrivano tutte prima del dibattito d’aula. Nel centrodestra la doppia preferenza non dispiace a Fdi ed è difficile mettersi nuovamente contro una legge statale, pur facendosi scudo della specialità, dopo che Liguria e Puglia sono state commissariate da Roma per arrivare al via libera. Nel centrosinistra l’obiettivo della preferenza di genere è prioritario. Ci sono inoltre consiglieri cui non dispiace l’emendamento di Forza Italia che cancella il tetto dei tre mandati consecutivi e forze interessate ad altre ipotesi di modifica. I gruppi politici si annusano e nel corso di una lunga pausa dei lavori d’aula la maggioranza mette insieme un blocco di ipotesi piuttosto clamoroso, come condizione per approvare la preferenza di genere.
La proposta parte dalla fine del limite dei tre mandati consecutivi: un unicum introdotto dalla giunta Serracchiani e che nel 2023 terrebbe fuori dai giochi la forzista Mara Piccin (che sul tema ha presentato apposito emendamento venendo accusata dal M5s di deriva cinese), nonché i dem Franco Iacop ed Enzo Marsilio, con quest’ultimo rimasto fuori dall’aula per protesta.
Altri punti sono l’ingresso in Consiglio per il candidato governatore che arriva terzo (oggi entra solo il primo sconfitto) e la cancellazione della garanzia del 40% assegnato ai consiglieri della minoranza. Compare e perde subito quota un complesso meccanismo, secondo cui il consigliere nominato assessore viene surrogato ma ha diritto a tornare consigliere se esce dalla giunta: la proposta è di Fdi, che vuole mani libere per i propri assessori della prossima giunta, considerato che Fedriga pretende la dimissione da consigliere per i membri dell’esecutivo e quindi l’assenza di paracadute in caso di divergenze e rotture.
A presentare i tre punti alle opposizioni sono il capogruppo leghista Mauro Bordin e l’assessore Pierpaolo Roberti, cui spetta la gestione dei rapporti del Consiglio, ma che rappresenta pure la prova di un coinvolgimento del governatore Massimiliano Fedriga nella partita. Le opposizioni rifiutano, sostenendo che si tratti dell’espediente del centrodestra per avere la scusa di non ammettere nemmeno stavolta la doppia preferenza.
Alla fine il Consiglio boccia la legge, la cui approvazione era stata auspicata anche da Dusy Marcolin, presidente della Commissione regionale Pari opportunità in quota Fdi. Una trentina di associazioni si dicono intanto pronte a fare ricorso di incostituzionalità contro la legge elettorale.
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