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Autolesionismo, suicidio, depressione, come intervenire se chi sta male è in famiglia

Autolesionismo, suicidio, depressione, come intervenire se chi sta male è in famiglia
Aumentano i ragazzi che si provocano lesioni intenzionalmente o cercano di togliersi la vita. Nasce in Piemonte, una delle regioni più colpite, un progetto di prevenzione
3 minuti di lettura

Paura, vergogna, difficoltà ad affrontare un tema difficile: sono i problemi che emergono quanto si parla di autolesionismo e suicidio. Anche per questo è difficile chiedere aiuto quando in famiglia c'è qualcuno che manifesta pensieri di morte. Per contrastare questo silenzio è nato in Piemonte, una delle regioni italiane più colpite dal fenomeno, il progetto dell'Osservatorio Nazionale Suicidi. Si tratta di "un centro studi voluto dalla famiglia di una persona morta suicida per studiare il fenomeno partendo dalle realtà locali e individuare i modelli di prevenzione più adeguati", spiega lo psichiatra Roberto Merli, direttore della struttura complessa di psichiatria dell'ASL di Biella.

Le parole che feriscono

C'è da combattere il mito del "devo farcela da solo" che rende difficile chiedere aiuto. "Ancora molte persone temono di essere giudicate deboli e inaffidabili se manifestano una sofferenza psicologica", sottolinea lo psichiatra. Ci sono situazioni della vita, cambiamenti improvvisi come la fine di un amore, un lutto, una malattia o la perdita del lavoro ,"che possono apparire come problemi insormontabili, che cambiano la prospettiva di vita, e dove l'idea del suicidio può farsi strada come soluzione per eliminare una sofferenza mentale insostenibile", spiega Merli.

"In questi casi è importante aiutare le persone a non abbandonarsi alla disperazione, ma a cercare e scoprire soluzioni alternative per la propria esistenza". C'è anche chi riesce a reagire a uno sconvolgimento esistenziale grazie a un'innata forza interiore o a fattori protettivi ambientali, come una buona rete di supporto sociale: "Uno dei nostri obiettivi -  spiega lo psichiatra - è proprio individuare gli strumenti che possono aiutare a superare il periodo di crisi".

Ragazzi nella tempesta

Anche tra i giovani il lockdown sembra aver aumentato i tentativi di suicidio: "Non è facile avere dati, ma negli ultimi anni ci sono sempre più ragazzi o ragazze che arrivano in Pronto Soccorso perché pensano di togliersi la vita o hanno provato a farlo, anche l'età media è diminuita", spiega Arianna Terrinoni, neuropsichiatra dell'età evolutiva al Policlinico Umberto I e docente presso l'Università di Roma La Sapienza. Tra gli adolescenti le fantasticherie di morte sono frequenti e non necessariamente patologiche, più preoccupante semmai è una vera e propria ideazione suicidaria, che può concretizzarsi in un gesto violento. "Le fantasie suicidarie possono comparire in qualunque persona, ma non è detto che si traducano sempre in un gesto concreto", ricorda Merli, "Quanto agli impulsi suicidari veri e propri, hanno in genere una durata limitata, da qualche minuto a qualche ora, sono dei picchi di sofferenza durante una condizione di crisi che si è sviluppata da tempo".

 

I segnali d'allarme

E a monte della crisi ci possono essere segnali di allarme di vario tipo ,come il manifestarsi di disturbi dell'umore - più frequenti, o meglio più facilmente diagnosticati, tra le ragazze - ma non solo: "Pensiamo ai ragazzi che si fanno terra bruciata intorno, riducendo drasticamente le relazioni sociali, a certi fallimenti scolastici che diventano vere e proprie crisi esistenziali", spiega Terrinoni: "O a comportamenti autolesivi, come il tagliarsi, che rappresentano uno dei fattori di rischio più elevati, e se non sono sufficienti a placare il dolore possono far emergere pensieri più drammatici". In generale qualunque comportamento si discosti molto da quello abituale deve essere monitorato.

"E' vero che viviamo una situazione di emergenza, ma anche prima del Covid non era facile per i ragazzi trovare una figura professionale di riferimento con cui confidarsi", prosegue Terrinoni. "Molti adolescenti mandano segnali di grande sofferenza che la scuola o i genitori dovrebbero cogliere: non devono essere lasciati soli in una fase della vita così delicata, in cui si affacciano al mondo delle emozioni".

Ridurre i fattori di rischio

Per tutti è importante ridurre i fattori di rischio, sia individuali sia ambientali. Tra i più importanti ci sono i disturbi mentali "ma anche il consumo di alcol o di sostanze, che aumenta il rischio perché facilita l'impulsività riducendo le capacità di autocontrollo", spiega Merli. E soprattutto per gli anziani, la solitudine, "intesa non tanto come isolamento geografico", sottolinea lo psichiatra, "quanto come carenze di una rete sociale, con difficoltà pratiche nella vita quotidiana o assenza  di relazioni gratificanti". Il fattore di rischio più importante è aver compiuto un tentativo di suicidio, "che comunque  nella maggior parte delle persone resta un episodio isolato",  spiega Merli.

Sostenere chi sta male

"In situazioni come queste è importante sostenere chi ha tentato di togliersi la vita, aiutandolo a individuare e sviluppare i fattori protettivi".  E per i ragazzi, quando serve aiuto è indispensabile coinvolge la famiglia , "e spesso anche i compagni di classe o i professori", spiega Terrinoni. "A volte i genitori si rivolgono a noi sperando che la struttura risolva il problema, ma le cose sono più complesse". Anche per questo, di suicidio è importante parlare, "fare formazione per il grande pubblico, ma anche per i professionisti della sanità", sottolinea Terrinoni.

Parlare con chi soffre

Affrontare l'argomento con chi attraversa un periodo di crisi non è sbagliato, "anzi una persona in questa situazione ha bisogno di qualcuno che lo ascolti con attenzione", osserva Merli. "E non è neanche vero che non si possa fare niente per aiutare chi pensa di togliersi la vita".  Chi sembra apparentemente irremovibile nella sua decisione conserva un desiderio di vivere che si può far emergere all'interno di una relazione di aiuto. Anche in chi pensa di voler morire insomma, conclude la neuropsichiatra "esiste una parte che non smette di essere vitale, e che vuol essere protetta".