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Virus 'zombie' risvegliato dai ghiacci: dopo 48.500 anni è ancora una minaccia

Virus 'zombie' risvegliato dai ghiacci: dopo 48.500 anni è ancora una minaccia
Un gruppo di scienziati francesi l'ha prelevato dal permafrost in Russia e analizzato in laboratorio. L'obiettivo: prepararsi al rischio epidemie per effetto del disgelo provocato dal riscaldamento climatico 
3 minuti di lettura

Il rischio c'è, e può trasformarsi in una minaccia: le temperature più calde nell'Artico stanno scongelando il permafrost della regione (strato ghiacciato di suolo sotto terra) e potenzialmente rimettendo in circolo virus che, dopo essere rimasti dormienti per decine di migliaia di anni, potrebbero minacciare la salute degli animali e dell'uomo. Per affrontare l'incognita determinata dalle possibili conseguenze che virus 'addormentatì per millenni possano scatenare sul genere umano, un gruppo di ricercatori dell'università francese di Aix-Marseille ne ha scongelati sette e analizzati in laboratorio: uno di questi ha 48.500 anni.

Cosa nasconde il permafrost?

Il permafrost copre un quinto dell'emisfero settentrionale, avendo sostenuto per millenni la tundra artica e le foreste boreali dell'Alaska, del Canada e della Russia. A cosa serve? Conserva, oltre agli antichi virus, i resti mummificati di un certo numero di animali estinti che gli scienziati sono stati in grado di dissotterrare e studiare negli ultimi anni, tra cui due cuccioli di leone delle caverne e un rinoceronte lanoso .
Il motivo per cui il permafrost è un buon mezzo di conservazione non è solo perché fa freddo, ma pure perché è un ambiente privo di ossigeno, che la luce non penetra. Tuttavia lo scenario sta cambiando: le attuali temperature artiche si stanno riscaldando fino a quattro volte più velocemente rispetto al resto del pianeta, indebolendone lo strato superiore.

L'équipe che 'rianimà i virus

E qui entra in scena l'équipe di esperti guidata da Jean-Michel Claverie, professore emerito di Medicina e Genomica alla Scuola di Medicina dell'Università di Aix-Marseille a Marsiglia, che ha testato campioni di terra prelevati dal permafrost siberiano per vedere se eventuali particelle virali in esso contenute siano ancora infettive. In sostanza l'esperto si è messo alla ricerca di quelli che descrive come 'virus zombi'. E li ha trovati.
Claverie studia un particolare tipo di virus che ha scoperto per la prima volta nel 2003. Conosciuti come virus giganti, sono molto più grandi della varietà tipica e visibili con un normale microscopio ottico, piuttosto che con un microscopio elettronico più potente, cosa che li rende un buon modello per questo tipo di attività di laboratorio.

Un virus vecchio 48.500 anni

L'intervento potrebbe sembrare rischioso ma, secondo quanto riferito dagli esperti, è fondamentale quando si parla di cambiamento climatico, visto che i ghiacci si stanno sciogliendo in tempi rapidi. Così, gli organismi che per secoli sono stati sepolti nei ghiacciai potrebbero essere una minaccia per la salute di tutti, in quanto possono conservare a lungo la loro capacità infettiva. Di conseguenza, studiare questi fenomeni ci permette di prepararci.
Entrando nel merito, i ricercatori francesi hanno scoperto un gruppo di virus più recenti, congelati per 27.000 anni e uno più vecchio, risalente a 48.500 anni fa: il virus più anziano mai ritrovato a oggi. "Si tratta di un record mondiale", ha spiegato Claverie, che con il suo gruppo di ricerca aveva scoperto in passato microbi di 30.000 anni fa su resti di mammut. Il virus di 48.500 anni fa è stato trovato in fondo al lago di Yurechi Alas, in Yakutia, in Russia. Si tratta di un pandoravirus, un virus gigante. Può infettare organismi chiamati amebe, ma non piante o animali.

Microbi 'zombie'

Questi virus riprendono vita dopo secoli, e per questo sono stati definiti 'zombie'. Potrebbero rappresentare un problema sanitario, visto che conservano le capacità infettive anche se hanno passato un periodo molto lungo nel suolo congelato. C'è una grandissima quantità di virus che si nasconde nel permafrost e potrebbe riemergere a causa dei cambiamenti climatici. Secondo una ricerca dell'università di Aarhs e Aberystwyth la fusione dei ghiacciai potrebbe rilasciare 100.000 tonnellate di microbi entro la fine del secolo.

Rischio spillover virale

E poi c'è il rischio spillover. Nel mondo reale gli scienziati non sanno per quanto tempo questi virus potrebbero rimanere infettivi una volta esposti alle condizioni odierne, o quanto sia probabile che il virus incontri un ospite adatto. Non tutti sono agenti patogeni in grado di causare malattie; alcuni sono benigni o addirittura benefici per i loro ospiti. E mentre ospita 3,6 milioni di persone, l'Artico è ancora un luogo scarsamente popolato, rendendo molto basso il rischio di esposizione umana a virus antichi.
Tuttavia, "il rischio è destinato ad aumentare nel contesto del riscaldamento globale", ha sottolineato Claverie, "in cui lo scongelamento del permafrost continuerà ad accelerare e più persone popoleranno l'Artico sulla scia delle iniziative industriali".

Effetto riscaldamento climatico

E Claverie non è il solo ad avvertire che la regione potrebbe diventare un terreno fertile per un evento di ricaduta, quando un virus salta su un nuovo ospite e inizia a diffondersi. L'anno scorso, un team di scienziati ha pubblicato una ricerca su campioni di suolo e sedimenti lacustri prelevati dal lago Hazen, un lago d'acqua dolce in Canada situato all'interno del circolo polare artico. Gli esperti hanno sequenziato il materiale genetico nel sedimento per identificare le firme virali e i genomi di potenziali ospiti - piante e animali - nell'area. Cos'è emerso? Utilizzando un'analisi del modello al computer, hanno suggerito che il rischio che i virus si trasmettano a nuovi ospiti possa essere più alto nei luoghi vicini a dove grandi quantità di acqua di disgelo glaciale scorrono nel lago. E il riscaldamento climatico non fa che rendere più probabile questo scenario.