Nel delicato equilibrio che consente al nostro sistema immunitario di funzionare, può accadere che qualcosa sposti l'ago della bilancia. Nella linfoistiocitosi emofagocitica (HLH), per esempio, può succedere che i macrofagi - le cellule "spazzino" con il compito di eliminare le cellule infettate - si attivino in modo incontrollato, e comincino ad eliminare anche le cellule sane, generando una iperinfiammazione che coinvolge tutto l'organismo e che in assenza di terapia può portare al decesso in poche settimane. Ad essere colpiti dalla HLH sono circa due bambini ogni 100 mila, anche se sono descritti pochissimi casi di HLH anche in adolescenti e in adulti.
Proprio per questa sua bassissima incidenza è considerata una malattia ultrarara, e difficile da riconoscere: in parte perché soprattutto nelle fasi iniziali i suoi sintomi non sono caratteristici, e i tradizionali esami di laboratorio non sono in grado di individuarla. In secondo luogo, perché spesso la HLH può essere confusa con altre malattie autoinfiammatorie.
Oggi però la diagnosi è più facile, grazie a un semplice esame di laboratorio che consente non solo di individuare in modo specifico la malattia, ma anche di predirne la gravità. Il merito è dei ricercatori dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma guidati da Fabrizio De Benedetti, responsabile dell'Unità operativa di Reumatologia dell'Ospedale, che hanno pubblicato su Blood i risultati del loro studio.
Basta un prelievo di sangue
In particolare, gli sciemziati si sono concentrati su una delle due forme nelle quali si può manifestare la HLH: esiste infatti una forma primaria, o familiare, che ha una causa genetica, e una forma secondaria, che può derivare da patologie pregresse, come infezioni virali, tumori, malattie metaboliche come il diabete, immunodeficienze, malattie reumatiche o autoinfiammatorie.
L'indagine si è quindi rivolta a quest'ultima forma. I ricercatori hanno prelevato campioni di sangue a 99 pazienti pediatrici di cui circa la metà con HLH secondaria, esaminandone in particolare le cellule del sangue periferico. Qui, grazie a tecniche di citofluorimetria o citometria a flusso - una tecnica di laboratorio grazie alla quale è possibile ricavare dati importanti della cellula, come le dimensioni, la vitalià, la complessità, eccetera - i ricercatori hanno dimostrato che nel sangue dei bambini colpiti da HLH secondaria si trova un numero nettamente superiore di linfociti T attivati rispetto ai soggetti colpiti da altre malattie autoinfiammatorie, come quelli con artrite idiopatica giovanile sistemica.
Già questo fattore è utile a distinguere più facilmente le diverse malattie. Ma i ricercatori hanno fatto un passo in più: hanno individuato una particolare sottopopolazione di linfociti T (chiamata CD4dimCD8+) che, se presente in quantità elevata, è associata a una forma più grave di HLH secondaria. In questo senso, una volta individuata la malattia è possibile anche predirne l'evoluzione.
Dal laboratorio al letto del paziente
"Uno degli aspetti più importanti dei risultati ottenuti con questo studio - spiega la dottoressa Giusi Prencipe, biotecnologo medico del Bambino Gesù e coordinatrice dello studio - è l'immediata traslazionalità. Vale a dire che è possibile, come stiamo già facendo presso il nostro Ospedale, trasferire subito i risultati nella pratica clinica a tutto vantaggio dei bambini e delle loro famiglie".
Grazie alla scoperta dei ricercatori, quindi, oggi basta un piccolo prelievo di sangue e l'uso della citofluorimetria per diagnosticare con grande affidabilità ed in tempi molto brevi la malattia e la sua evoluzione. E questo consente di cominciare rapidamente i trattamenti più appropriati e quindi migliorare la prognosi.
HLH, in arrivo novità cliniche
Attualmente la terapia consiste in un trapianto di cellule staminali emopoietiche, intervento che però deve essere anticipato da una terapia medica che ha lo scopo di controllare la risposta infiammatoria incontrollata tipica della malattia.
Per questo aspetto sono da poco disponibili nuove possibilità terapeutiche grazie ai farmaci biologici. Uno di questi è l'anticorpo monoclonale emapalumab, diretto contro una molecola (interferone-gamma) che gioca un ruolo chiave nel regolare la risposta immunitaria e che viene prodotta in eccesso nei pazienti con HLH. Emapalumab è stato sperimentato con successo proprio all'Ospedale della Capitale, prima sulla forma primaria e, più di recente, sulla forma secondaria della HLH. Nella prima sperimentazione, il farmaco è stato in grado di bloccare l'iper-infiammazione e controllare le caratteristiche acute della malattia in oltre il 60% dei casi. I risultati dell'ultima sperimentazione saranno invece presentanti in anteprima al prossimo congresso europeo di reumatologia EULAR 2022, che si terrà dall'1 al 4 giugno a Copenaghen, in Danimarca.