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Tumore al polmone, l’immunoterapia ha effetti incoraggianti anche nei pazienti più fragili

Tumore al polmone, l’immunoterapia ha effetti incoraggianti anche nei pazienti più fragili
In una sperimentazione internazionale, atezolizumab ha migliorato la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti con carcinoma polmonare avanzato per cui non esistono opzioni di trattamento. Servono però ulteriori studi
3 minuti di lettura

Ci sono pazienti con tumore al polmone per i quali già al momento della diagnosi ci sono poche, pochissime opzioni terapeutiche. Sono persone con malattia avanzata o metastatica, magari già anziane e con patologie concomitanti, che per le loro condizioni generali di salute non potrebbero sopportare la chemioterapia contenente platino. Una speranza per il futuro, però, potrebbe venire dallo studio Ipsos, i cui primi risultati sono stati presentati al congresso della European society of medical oncology (Esmo) in corso a Parigi: l’immunoterapia con atezolizumab in prima linea sta dando esiti incoraggianti in pazienti fragili con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, migliorando sia il tasso di sopravvivenza sia la qualità di vita dei pazienti. Serviranno però più tempo e più dati per una valutazione conclusiva e dunque per vedere una futura applicazione nella pratica clinica.

 

SPECIALE ESMO 22

 

Il tumore del polmone

Il tumore del polmone è il secondo tumore più frequente per numero di diagnosi ed è la principale causa di morte per cancro a livello mondiale. Nel 2020 ci sono stati 2,2 milioni di nuovi casi e 1,8 milioni di decessi, soprattutto di pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato. Negli ultimi anni l’oncologia ha fatto molti progressi e ha ottenuto grandi avanzamenti terapeutici anche nel trattamento del tumore al polmone in stadio avanzato e metastatico, quasi quadruplicando la sopravvivenza dei pazienti che oggi si attesta attorno al 20% a cinque anni dalla diagnosi. Tuttavia, rimangono ancora delle popolazioni di pazienti con fortissimi bisogni insoddisfatti. “Gran parte dei pazienti che ricevono una diagnosi di carcinoma polmonare avanzato sono persone che hanno in media più di 70 anni, già affetti da altre patologie spesso legate al consumo di tabacco”, spiega a Salute Diego Cortinovis dell’Asst Ospedale San Gerardo di Monza, che ha contribuito allo studio Ipsos. Sono pazienti che arrivano alla diagnosi in condizioni non ottimali e per i quali non è possibile procedere con terapie chemioterapiche o con combinazioni di chemioterapia e immunoterapia più o meno aggressive. “Sembra strano a dirsi, ma per questa categoria di malati, che rappresenta grossomodo il 20-30% dei pazienti che afferiscono agli ambulatori degli ospedali, siamo fermi a pratiche oncologiche di 10-15 anni fa, quando le terapie erano solo di supporto o al massimo una singola chemioterapia”.

Lo studio Ipsos

Nel tentativo di offrire nuove opzioni terapeutiche a questi pazienti, lo studio Ipsos ha voluto indagare gli effetti dell’immunoterapia con atezolizumab comparandoli a quelli della mono-chemioterapia come migliore standard di trattamento attuale. “Gli oltre 450 pazienti inclusi nello studio Ipsos sono stati selezionati solo sulla base di caratteristiche di fragilità, quindi età avanzata, sopra i 70 anni, con comorbidità o comunque in condizioni tali per cui non sono in grado di svolgere particolari attività”, precisa Cortinovis. “Nessun paziente aveva ricevuto trattamenti prima di aderire allo studio clinico e a distanza di due anni dall’inizio della terapia con atezolizumab abbiamo constatato un miglioramento statistico nella sopravvivenza e nella qualità di vita dei pazienti”. Alcuni pazienti trattati con atezolizumab riferiscono miglioramenti della tosse, della mancanza di fiato, del dolore e della stanchezza, con mantenimento o parziale recupero dell’autonomia. “Per fare un esempio, un paziente che prima del trattamento entrava in ambulatorio in sedia a rotelle, dopo entra senza bisogno di questo tipo di supporto”, aggiunge il medico.

Ci vorrà ancora tempo

Questi primi dati sembrano, dunque, positivi e sembrano indicare un vantaggio dell’immunoterapia sulla chemioterapia in una popolazione fragile. Tuttavia è necessario precisare che non è ancora possibile parlare di una prossima applicazione nella pratica clinica di ogni giorno. Servono, infatti, più dati e informazioni sulla popolazione di pazienti che trae dall’immunoterapia il massimo beneficio. “Durante l’analisi dei dati dello studio Ipsos è emerso un fatto molto significativo: il vantaggio dell’immunoterapia in questa popolazione fragile non sembra essere correlato all’espressione della proteina tumorale PD-L1”, situazione invece emersa in altri studi analoghi”, spiega Cortinovis. Tuttavia lo studio di altri biomarcatori oltre a PD-L1 e le caratteristiche cliniche del paziente possono costituire fattori per l’identificazione delle persone che beneficerebbero di più della sola immunoterapia nel sottogruppo di pazienti considerati fragili”.

Infine è necessaria una valutazione attenta delle tossicità dell’immunoterapia in questi pazienti. “Il profilo di tossicità di atezolizumab non è superiore a quello della chemioterapia, ma gli effetti sono diversi”, conclude Diego Cortinovis. “Con questa immunoterapia possono verificarsi reazioni del sistema immunitario dirette contro strutture sane dell’organismo del paziente, come la tiroide o il pancreas, che possono tradursi in disturbi che compromettono il beneficio complessivo che la persona può trarre dal trattamento”. Dal momento che atezolizumab è già disponibile da tempo in Italia per il trattamento di pazienti con neoplasia polmonare in particolare, i clinici hanno imparato a gestirne le tossicità. Ma, poiché in persone fragili con un tumore polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato la prognosi rimane infausta, bisogna essere certi che i vantaggi dell’immunoterapia siano superiori agli svantaggi.