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Tumore del seno: 92% delle donne ad alto rischio di recidiva è vivo a 5 anni senza chemioterapia

Tumore del seno: 92% delle donne ad alto rischio di recidiva è vivo a 5 anni senza chemioterapia
Presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium i dati di uno studio internazionale su più di 5000 pazienti pubblicato sul The New England Journal of Medicine che dimostrano come, grazie ai test genomici, sia possibile individuare quando si può evitare la chemioterapia
5 minuti di lettura

Quasi il 92% delle donne in postmenopausa trattate, dopo la chirurgia, con la sola terapia ormonale, a 5 anni, è vivo e libero da malattia invasiva, senza differenze significative rispetto alle pazienti che hanno ricevuto anche la chemioterapia (91,3%) dopo l’intervento. E’ la buona notizia che arriva dal “San Antonio Breast Cancer Symposium”, il più importante congresso internazionale dedicato a questa neoplasia, che si chiude oggi. I dati sono quelli dello studio RxPONDER, pubblicato da pochi giorni sulla prestigiosa rivista scientifica “The New England Journal of Medicine” e che dimostrano come il test molecolare a 21 geni consenta di evitare chemioterapie superflue in donne in postmenopausa con tumore della mammella in stadio iniziale e linfonodi positivi ad alto rischio di recidiva.

Lo studio

I dati aggiornati di RxPONDER, presentati a San Antonio, dimostrano che, a un follow up più lungo (mediana di 6,1 anni), le donne in postmenopausa continuano a non ottenere benefici dalla chemioterapia dopo la chirurgia. Lo studio è stato condotto in modo indipendente dal SWOG Cancer Research Network con il supporto del National Cancer Institute (NCI) e ha coinvolto 5.083 donne con tumore del seno in stadio iniziale (II-III), che esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2 (ER+/HER2-), con coinvolgimento dei linfonodi ascellari (da uno a tre).

Risultati che cambiano la qualità di vita

“L’obiettivo di RxPONDER era capire meglio quando utilizzare la chemioterapia adiuvante, cioè successiva all’intervento chirurgico, per consentire un trattamento personalizzato – afferma Francesco Cognetti, presidente della Fondazione Insieme contro il cancro. Le pazienti sono state sottoposte al test genomico Oncotype DX. Questi risultati possono modificare la pratica clinica e mostrano in modo definitivo che le donne in postmenopausa, con questa forma comune di tumore del seno e con un risultato di Recurrence Score, cioè un punteggio del test genomico, pari o inferiore a 25, possono evitare la chemioterapia ed essere trattate solo con la terapia ormonale, risparmiando a decine di migliaia di pazienti in tutto il mondo gli effetti collaterali associati alla chemioterapia. L’impatto sulla qualità di vita è enorme, perché vengono evitate inutili tossicità”.

Il ruolo dei test genomici

Nel 2020 in Italia sono stati stimati circa 55mila nuovi casi di tumore della mammella e 834.200 persone vivono dopo la diagnosi. “I test genomici - spiega Saverio Cinieri, presidente di Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e direttore dell’Oncologia Medica e Breast Unit dell’Ospedale ‘Perrino’ di Brindisi - rappresentano uno strumento che si aggiunge alle armi terapeutiche a disposizione degli oncologi, per decidere se a una paziente dovrà essere somministrata o meno la chemioterapia adiuvante in aggiunta all’ormonoterapia standard”.

Verso la personalizzazione della terapia

Circa un terzo delle pazienti con tumore del seno in fase iniziale positivo al recettore ormonale, HER2-negativo, presenta una malattia che si è diffusa ai linfonodi e due su tre sono in menopausa. “La maggior parte - prosegue Cinieri - oggi viene trattata con la chemioterapia adiuvante, con una comprensibile prevalenza di atteggiamenti prudenziali. I risultati di RxPONDER possono cambiare questa tendenza e segnano un ulteriore tassello a favore del test molecolare a 21 geni quale strumento in grado di supportare il clinico nella personalizzazione della terapia. Nel 2018, lo studio TAILORx infatti aveva già analizzato il ruolo della chemioterapia nelle pazienti senza interessamento dei linfonodi, dimostrando che, grazie a questo test genomico, è possibile identificare il ristretto numero di donne, circa il 20%, che traggono un beneficio sostanziale dalla chemioterapia, risparmiando alla vasta maggioranza, circa l’80%, la tossicità e gli effetti collaterali legati ai regimi chemioterapici”.

Chi ha bisogno di chemioterapia adiuvante e chi può farne a meno

Insomma, con gli studi RxPONDER e TAILORx si fa chiarezza su chi ottenga un beneficio dalla chemioterapia tra le pazienti con tumore del seno in fase iniziale, con o senza interessamento linfonodale. “RxPONDER - sottolinea Giuseppe Curigliano, professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano - ha mostrato che la grande maggioranza delle donne in postmenopausa può evitare la chemioterapia ed essere trattata solo con la terapia ormonale. Al contrario, lo studio ha dimostrato che le pazienti in premenopausa con tumore del seno con le stesse caratteristiche dovrebbero essere trattate con la chemioterapia adiuvante. Il tasso di sopravvivenza libera da malattia invasiva, nelle donne in premenopausa, è migliorato di quasi il 5%, passando dall’89% con la sola terapia ormonale al 93,9% aggiungendo la chemioterapia”.

Nuovi dati sull’intervallo libero da recidiva

Peraltro, al Congresso di San Antonio sono stati presentati i dati di una nuova analisi relativa all’intervallo libero da recidiva a distanza. “L’analisi - spiega Curigliano - ha evidenziato che le donne in premenopausa, con un punteggio del test genomico pari o inferiore a 13, ottengono un beneficio assoluto moderato, pari al 2,3%, dalla chemioterapia a 5 anni. Per le donne in premenopausa con un punteggio del test genomico compreso fra 14 e 25 il beneficio è del 2,8%”.

Cosa dicono le Linee guida

I test genomici sono raccomandati dalle più importanti linee guida internazionali, come quelle della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO). “Sulla base dei risultati dello studio RxPONDER - spiega Curigliano, Chair della ESMO Guideline Committee - il National Comprehensive Cancer Network, un’alleanza di 21 centri di riferimento a livello mondiale nella cura del cancro, ha aggiornato le linee guida per il tumore del seno e ha riconosciuto il test Oncotype DX come l’unico che può essere utilizzato per prevedere il beneficio della chemioterapia nelle pazienti con tumore del seno in fase iniziale, con linfonodi ascellari positivi (da 1 a 3), comprese le micrometastasi. Il test Oncotype DX è l’unico classificato come ‘preferito’ con il massimo livello di evidenza per le pazienti con linfonodi negativi e con linfonodi positivi (da 1 a 3) in postmenopausa. Inoltre, il National Comprehensive Cancer Network raccomanda il test per determinare la prognosi delle pazienti in premenopausa con linfonodi positivi, candidate alla chemioterapia”.

L’attesa delle pazienti

Questo test genomico così prezioso per la vita delle pazienti è disponibile gratuitamente in Italia? A dicembre 2020, la Legge di Bilancio ha istituito un Fondo di 20 milioni di euro per l’applicazione gratuita dei test genomici su tutto il territorio. Purtroppo, soltanto a luglio 2021 il Ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il decreto attuativo che ha sbloccato i 20 milioni di euro inclusi nel Fondo. Poi la questione è passata alle Regioni che hanno recepito il decreto del Governo, ma solo alcuni ospedali hanno iniziato a ordinare i test. “Tra gare regionali da avviare ed ulteriori ritardi burocratici e amministrativi - afferma Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia - si corre il rischio concreto di dover aspettare altri mesi. Non è più accettabile prolungare ulteriormente l’attesa delle pazienti. Insieme alle 170 Associazioni che fanno parte della nostra rete, continuiamo l’azione di monitoraggio e sollecito affinché tutte le donne possano contare su scelte terapeutiche sempre più basate sulle evidenze della medicina personalizzata, di cui i test genomici rappresentano un tassello fondamentale”. Ma quante sono ad oggi le regioni nelle quali sono già disponibili questi test? "Purtroppo si contano sulle dita di una mano", denuncia D'Antona che aggiunge: "Sono la Lombardia, il Veneto, la Val d'Aosta, la provincia di Bolzano e la Toscana ma soltanto in alcune Breast Unit. Non solo: in Italia su 180 Breast Unit solo il 45% ha accesso ai fondi e quindi ai test genomici ma sono sempre concentrate nelle aree del Nord Italia. Quello che è assurdo è che questo ritardo non è dovuto alla mancanza di fondi ma soltanto a burocrazia ed è inaccettabile".

I vantaggi economici diretti e indiretti

Quante sono le donne che potrebbero beneficiare di questi test? “Si stima che possano essere prescritti ad una paziente su cinque”, risponde Cognetti. “Sono oltre 10mila le donne nel nostro Paese candidate a questi esami. Vanno inoltre considerati i risparmi, visto che questo esame costa circa 2mila euro e un ciclo di chemioterapia va dai 7 agli 8 mila euro. Senza dimenticare i costi indiretti, legati alla mancata produttività conseguente a trattamenti debilitanti, e l’infertilità indotta dalla chemioterapia nelle donne più giovani. Il valore clinico dei test genomici è stato confermato anche da sperimentazioni condotte in Italia. Nello studio PONDx, realizzato dal Regina Elena di Roma su 1.738 pazienti con la partecipazione di numerosi centri italiani, in circa il 50% dei casi il test ha fatto cambiare ai clinici la scelta del trattamento adiuvante, evitando la chemioterapia”.